domenica 24 maggio 2015

Integratori alimentari nello sport: gli "sport drinks"


Gli "sport drinks" sono quelle bevande, ad esempio il "gatorade" ed il "powerade", che contengono un certa quantità di carboidrati e di sali, destinate al consumo durante un evento sportivo  di "endurance" ( o anche immediatamente prima e\o dopo l'evento), allo scopo di mantenere l'idratazione e\o fornire energia. Sono prodotti piuttosto semplici e facilmente clonabili i cui ingredienti "attivi" sono: sale da cucina ed eventualmente un pò di magnesio e potassio, e zuccheri, tipicamente un mix di glucosio, saccarosio  fruttosio ed eventualmente  maltodestrine.

La questione è la solita: il beneficio è mito o realtà? Servono all'atleta o servono solo al business?  
Come sempre per le  questioni complicate non è il caso di affidarsi ad un unico esperto o a qualche isolato articolo della  letteratura scientifica sull'argomento, ma conviene vedere qual'è la posizione ufficiale degli organismi scientifici e, in questo caso anche sportivi, più accreditati. 

Le posizioni ufficiali


Cominciamo dal top player scientifico ovvero dall'American College of Sport Medicine (ACSM), senza dubbio l'istituzione più autorevole nella medicina dello sport.  La posizione ufficiale dell'ACSM è espressa in vari documenti e a diversi livelli di approfondimento.  La versione scientifica della posizione è riportata nell'articolo (di accesso pubblico, come per tutte le posizioni ufficiali)
Medicine & Science in Sports & Exercise:
doi: 10.1249/mss.0b013e31802ca597
SPECIAL COMMUNICATIONS: Position Stand

mentre la sintesi destinata al pubblico (atleti,coach,...)  è espressa con semplicità in un volantino aggiornato al 2011, dal titolo ACSM Information on Selecting and Effectively UsingHydration for Fitness

Consiglio fortemente la lettura del position stand a chiunque voglia approfondire seriamente la propria cultura in materia (e che abbia dei decenti  requisiti culturali), mentre consiglio la lettura del volantino ai semplici e ai pigri( intellettualmente).

In estrema sintesi viene consigliato di bere acqua durante le prestazioni atletiche che durano meno di 60 minuti e bere   per prestazioni oltre i 60 minuti "sport beverages" composti dal 4-8% di carboidrati, 20-30 meq/l di sodio  e 2-5 meq/l di potassio in quantità crescenti con la durata dell'evento, ovvero 3-8 once (90-240 ml) ogni 15-20 minuti, con il limite superiore di "one quart/ hour" ovvero di due pinte (poco meno di un litro) all'ora. A fine esercizio si raccomanda di bere acqua o "sport beveragers" in quantità di poco superiori al peso perso durante la prestazione.
In definitiva l'ACSM consiglia l'uso di "sport drinks" con sali e carboidrati durante le prestazioni che si prolungano oltre i 60 minuti.


Vediamo adesso la posizione del top player tra gli organismi sportivi, il comitato olimpico internazionale. L'argomento è affrontato in una pubblicazione del 2010, revisionata nel 2012, dal titolo Nutrition for Athletes, a cura del Nutrition Working Group of the International Olympic Committee.
Nella pubblicazione si raccomanda di assumere bevande con carboidrati durante prestazioni di durata superiore ai 60 minuti e sodio durante prestazioni di durata superiore a 60-120 minuti. Viene menzionato esplicitamente l'uso di bevande sportive che contengono il 4-8 % di carboidrati e 200-300 mg/litro di sodio.
In definitiva  il Comitato Olimpico Internazionale consiglia l'uso di "sport drinks" con sali e carboidrati durante le prestazioni che si prolungano oltre i 60-120  minuti.



Controversie.

E' d'obbligo riportare alcune controversie sull'argomento ovvero il fatto rilevato da più parti che le grandi aziende produttrici di "sport drinks", da una parte la Pepsi Cola che ha acquisito  Gatorade, dall'altra la Coca Cola proprietaria di Powerade, sono grandi sponsor della ricerca scientifica sull'argomento ed anche del Comitato Olimpico Internazionale. La sponsorizzazione potrebbe aver influenzato la direzione della ricerca scientifica in un senso favorevole alle bevande sportive. Tale accusa  è avanzata  esplicitamente in un articolo di Tim Noakes* del 2011 sul British Journal of Sport Medicine che rileva come molti membri del comitato nutrizionale dell'ACSM fossero stati finanziati da Gatorade e contesta  il messaggio che è passato per molti decenni ovvero di bere molto durante le prestazioni sportive, alla base secondo lui, dei casi fatali di iponatremia verificatisi in alcune competizioni sportive.  Il problema dell'iponatremia è oggi superato in quanto tutte le indicazioni concordano nel porre dei limiti alla quantità di fluidi  da ingerire e non centrerebbe nulla con gli "sport drinks" ( è l'eccesso di acqua ad essere nocivo)  se non fosse per l'accusa che furono i produttori di tali bevande a favorire il messaggio di bere molto. In parole semplici, per anni agli sportivi si è detto a torto "bevi anche se non hai sete" con la finalità (secondo Noakes) di vendere più sport drinks, senza considerare che bere troppo (troppa acqua) fà male.

Note: * Tim Noakes è un grande ed originale  protagonista della scienza dello sport noto in particolare per la sua bizzarra posizione ( molto controcorrente e severamente criticata)  a favore della dieta high fat - low carb.


Considerazioni personali.

Tornando alla vera questione, ovvero all'efficacia degli "sport drinks", mi è sembrato di capire che nessuno dubita dell'efficacia della parte energetica (degli zuccheri) e che le perplessità riguardino solo la scarsa efficacia della parte salina. In effetti i 200-300 mg per litro di sodio delle bevande isotoniche non sono moltissimi se si considera  che con un litro di sudore  si possono perdere fino a 1.5 grammi di sali e che la quantità di sudore prodotto è compresa tra il mezzo ed i due litri all'ora ( riferimento ).   Il problema è che aumentando la quantità di sale, bevande ipertoniche, la bevanda diventa cattiva e l'assimilazione rallenta. In definitiva le bevande isotoniche sono quelle che garantiscono l'assimilazione più rapida. Pertanto c'è un limite fisiologico individuale ma invalicabile nella quantità di sali che si possono reintegrare durante le prestazioni (a meno di iniettarsi direttamenteuna soluzione ipertonica di sale in vena), ma come si dice qui in Friuli, "alc l'è alc, nue l'è nue". In definitiva, in base a ciò che ho letto, credo di aver capito che l'uso di bevande isotoniche sia  un  ausilio utile a patto di arrivare alla prestazione già ben idratati e con un giusto equilibrio elettrolitico. Al fine di un ricupero rapido invece è bene abbondare con il sale dopo la prestazione. Tutto ciò riguarda ovviamente solo le prestazioni sportive in cui si sudano diversi litri ovvero le prestazioni di endurance sopra l'ora ed in particolare se eseguite in clima caldo-umido.

Farsi in casa uno sport drink è semplicissimo e costa veramente poco essendo gli ingredienti zuccheri semplici e sali (perlopiù comune sale da cucina). La cosa più difficile da fare e rendere la bevanda gradevole come quelle commerciali sopratutto se per una qualche ragione personale si vuole evitare l'uso degli  aromi  artificiali.

Io non uso "sport drinks" ma d'estate dopo la corsa assumo spesso degli integratori salini a base di soli potassio e magnesio in quanto il sodio lo assumo in abbondanza con gli alimenti. Il motivo è semplice: soffro particolarmente  il caldo e quando ho cominciato a correre anche d'estate ero soggetto a crampi dopo la prestazione (nelle 24 ore seguenti). Su consiglio di un amico ho provato ad assumere potassio e magnesio ed i crampi sono scomparsi del tutto. Da allora, generalmente  a luglio-agosto e solo se fà molto caldo, dopo l'allenamento prendo una bustina. Ovviamente potrei sopperire con alimenti ricchi di potassio e magnesio ma è molto più comoda e rapida la bustina.

martedì 17 marzo 2015

Aspire Nautilus & Nautilus mini in-depth review


Introduction

The Aspire Nautilus ad mini Nautilus are third generation tank atomizers made by Chinese firm  Aspire founded in 2013. They first appeared in the early 2014 (Nautilus) and  in the mid 2014 (mini) and are  classified as "adjustable airflow BVC clearomizers" since
1) tanks are made by clear pyrex glass (clear atomizer=clearomizer)
2) coil is placed vertically at the bottom of the tank (BVC=Bottom Vertical Coil)
3) the airflow can be adjusted by selecting the orifice size through which air flows in.


Nautilus brothers are top class atomizers  in the market segment of non rebuildable devices and they unique features made them a bestseller leading the new entry  firm Aspire  in a top position.

I dont know if the bottom vertical coil concept was invented by Aspire (albeit miniaturized, the bvc head is similar to a boge cartom) but nowadays BVC is strictly associated to Aspire products covering three different market segments with the small low end 5 CE5 clearo,  the 22-25  top class Nautilus brothers and finally with the 35   Atlantis, a strong competitor to RBA systems targeted to drippers.


In my opinion it is the BVC concept that makes the Nautilus  an award winning atomizer and I will explain the why in a dedicated section of this review. Furthermore the adjustable airflow system allows  the Nautilus to adapt to the evolving habits of ex-smokers that gradually change from strong but short  inhalations  to longer and softer puffs. When I vaped with the Nautilus the first time, about 1 month after I give up smoking, it seemed to me that the only useful hole  of the adjustable air systems was the smaller one, being the others too  airy. Now, after some months, I  always vape with the largest hole.  

Vaping with the Nautilus

Since the Nautilus and the Nautilus mini differ only by the tank capacity, being the internal hardware and the airflow sizes identical, there is no difference in vaping and thus what I will say here applies to both the models. Furthermore, despite early models of the Nautilus were equipped with 1.6 and  2.1 ohm coils, nowadays, at least here in Italy, they are both  sell with the new 1.8 ohm coils that first appeared with the Nautilus mini. Despite I tried out a pair of 1.6 and 2.1 ohm coils my vaping experience is largely established on 1.8 ohm coils and thus my review deals with the latter.

The Nautilus produces a huge quantity of   cold to slightly warm clean ad smooth aerosol  depending on the power setting. In my opinion the very minimum power needed to get an acceptable  early morning gently vaping experience is 6-7 watt while the maximum power to prevent burnt flavour is about 15-16 watts with a freshly installed coil and a light not organic e-liquid. While the power limits are  quite large, the best vaping experience is obtained at 9-13 watts i.e. between 4 and 5 volts (recomended also by aspire, see here ). I usually vape at 9-10 watts and sometimes, especially after dinner, at 12-13 watts. The vapour is very cold at 6 watt, warm at 15 watt and slightly warm between 9 and 13 watts. A way to slightly increase vapour temperature is to replace the original inox drip tip with a plastic one.  Also at the highest power, provided not burnt, vapour smell and taste is very clear. I'm definitively convinced  that the Nautilus is very neutral with flavours, it does not magnify nor mitigate, probably  because  of the slightly warm vapour temperature. Burnt flavours are very rare and in my experience they happen only with misuse that is when one vapes while the tank is empty or when the coil is exausted. The lasting of the coils depends mostly on the type of the e-liquid and on the power setting. At 10 watts I'm able to vape 25-30 ml of a not organic and not eccessively sweet e-liquid ( for instance the Halo Belgian Cocoe)   without even a minimal burnt taste production. With a sweet and high flavoured liquid (for instance Dr. Stanley Clark's Snake oil) at 10 watts i can't vape more than 10 ml with a single coil.
A very in-depth examination of nautilus coils life can be found here.

I think that  the Nautilus is not ideal as a first atomizer   at the first days after one quits smoking simply because the vapour it produces is not sufficiently warm to resemble cigarettes experience. But after one or two weeks of smoking cessation and gradual adaptation by vaping with an entry level top coil atom, the Nautilus  is the best purchase one can made.

Daily use

The mini, the full size Nautilus
and a 30 w  battery
The full size Nautilus mounted
on a 30 watt battery in my hand
The Nautilus has a huge 5 ml tank while the mini has a 2 ml one. As a former 30 cigarettes/day smoker I daily vape 3-4 ml of e-juice that is almost the full content of the Nautilus or of two Nautilus mini. Despite the  Nautilus  capacity fits my  daily vaping needs, since I like to swap between two different  liquids (say one gentle liquid at the morning and a strong liquid in the afternon), I prefer to take back two Nautilus mini, being a full size Nautilus too big to fit into my pockets. Presently my Nautilus set is made by two mini i take always back and two full size atoms that I use only at home.

Taking the Nautilus in the pocket is safe because the sealing system
  
The Nautilus mini on the same
battery and the same hand
    prevents any leakage. The pyrex glass tank is very strong and resisted to     many falls on a wood floor and also on the  pvc coated concrete floor of     my office. Furthermore pyrex is so hard that my tanks have no scratchs       despite I fit them in my pocket along with keys, coins and inox drip tips.

    Refilling the tank is very easy and after some practice can be made           without getting dirty hands. One of my two mini was very hard to open      when it was new and i had to use pliers for the first 4-5  refilling, probably  because of a defective thread.


During the refilling operation few  e-liquid drops  can drip into the bottom hardware and accumulate around the positive electric pin. Thus I clean the bottom hardware every time i change the coil head by a 10 minutes immersion in edible 95% grade alcohol. Water can also be used but than one must wait until the hardware is completely dry (or use a hair dryier).

A small amount of vapour condensates on the inner surface of the chimney and of the upper cap and thus when  I daily clean the drip tip i clean also the upper hardware with a rolled paper towel (1 minute for both). 

Daily cleaning and refill operations are become for me a pleasant moment of the day that reminds me of my grandfather when he cleaned his pipe.






The Nautilus BVC


Parts of the Nautilus atomizer. The replaceable atomizer is the BVC head.





A detailed picture of the Nautilus BVC head

Sketch of a vertical section of the aspire BVC head
The Nautilus BVC  head is quite different from many other products. The coil is placed vertically, i.e. aligned with the Nautilus axis, and is internally empty to allow air to flow co-axially from the bottom to the top. The coil is externally coated by a fiber material  (very likely ceramic fibers) that carries the liquid (by capillarity) from the cotton layer. When the user aspires from the drip tip the negative pressure that establish in the coil inner retrieves  both fresh air from the outer and e-liquid from the tank. When the coil is powered its temperature rise without excediing the evaporation temperature of the liquid, at least where the coil wire surface is in contact with the wet fibers. Furthermore the air flux  that laps the dry parts of the coil wire should contribute to mantain low temperatures in the coil.



With respect to wick based horizontal coils  the temperature distribution on the Nautilus BVC coil wire should be  more uniform and less prone to the formation of hotspot points because the air flux is very regular and laps the most part of the dry coil surface.

Rating

May be the best not rebuildable tank atomizer on the market (at march 2015) and I rate it 9/10.





Why not 10/10? Because even if it may be the best clearo on the market, it is far away from perfection. We must wait a big technology improvement to get a 10/10 rated atommizer, read the following post.


mercoledì 4 marzo 2015

Come ho smesso di fumare in 4 giorni e senza sforzo

Da 30 a zero sigarette al giorno

Per 30 anni ho pensato che prima o poi avrei dovuto  smettere di fumare ma la decisione era così ardua che  non l'ho mai presa in considerazione per non dover convivere con il fallimento. Senza mai prendere la decisione, 3 mesi or sono ho smesso, spontaneamente o quasi, passando da trenta bionde al giorno (Camel gialle) a zero in quattro giorni, senza fatica e costrizioni. Come ? Passando alla sigaretta elettronica!
A questo punto qualcun potrebbe obiettare che non ho realmente smesso di fumare ma solo cambiato il modo d fumare. Invece insisto in quanto dalla sigaretta elettronica (e-cig)  non esce alcun tipo di fumo ma solo  una sospensione aerea di finissime particelle liquide, ovvero un aerosol. Nella e-cig non avviene nessuna combustione e quindi niente fumo perchè niente brucia. Tecnicamente parlando una e-cig è composta da almeno due parti distinte, la batteria (o alimentatore) e l'atomizzatore. Una resistenza elettrica all'interno dell'atomizzatore   riscaldandosi produce l'evaporazione di un liquido. Il vapore risalendo lungo il "camino" dell'atomizzatore si ricondensa in milioni di minuscole goccioline e all'uscita (drip tip) viene inalato, prima in bocca e poi nei polmoni.
Quindi tecnicamente adesso non fumo più ma mi faccio di aerosol o come si dice, usando un neologismo di origine inglese, adesso svapo.

A sinistra una e-cig entry level montata, 
a destra i due pezzi principali che la compongono


Precisato in che senso ho smesso di fumare, veniamo al come. Nell'ultimo anno gli effetti collaterali del fumo si stavano facendo sentire sempre più pesantemente. Nella corsa (che pratico con regolarità)  i polmoni faticavano sempre di più, di notte fischi e rantolii in aumento ed in più una fastidiosa tossicciuola cronica. Così, pensando che avrei potuto diminuire il numero delle sigarette, ho deciso di comprare una e-cig.  Detto e fatto, ho speso circa 50 Euro in un negozio fisico e sono uscito con un kit completo e 2 boccette di liquido di ricambio contenti la massima percentuale di nicotina disponibile. Il primo e secondo giorno ho fumato circa 15 sigarette e svapato (altro orribile neologismo derivato) per il resto osservando che il desiderio di fumare passava con due  tre svapate. In base a tale osservazione, il terzo giorno mi sono imposto di fare sempre due svapate prima di accendere la sigaretta,  in fondo si trattava di rimandare l'accensione della bionda di 10-20 secondi. Risultato: 5 sigarette in tutta la giornata. Il quarto giorno uguale al terzo ma ho realizzato che svapare era meglio che fumare e quando accendevo la bionda pensavo alla e-cig. In conclusione dal quinto giorno ad oggi non ho più fumato o quasi. In realtà dopo un paio di settimane mi è captato di dimenticare la e-cig a casa e siccome avevo conservato il pacchetto che conteneva ancora 12 bionde in macchina, ne ho fumate 2  bestemmiando per l'orribile puzza di bruciato che facevano. Il pacchetto in macchina ce l'ho ancora e contiene 9 bionde che oramai faranno schifo. La bionda mancante l'ho fumata un giorno che avevo finito la batteria della e-cig. La sera stessa son andato a comprare due batterie in più, giusto per non sbagliare.

La cosa incredibile  è che nel giro di pochi giorni mi è passata la voglia di fumare, sostituita dalla voglia di svapare. Il segreto per smettere di fumare si è rivelato banale: passare a qualche cosa con le stesse caratteristiche, ma migliorate. Badate che il  "migliorate" qui  non si riferisce a questioni  di salute, ma si riferisce alla gratificazione. Sto dicendo che la e-cig mi dà sensazioni migliori delle bionde, più intense, più gradevoli, più personalizzabili. In altri termini stò affermando che anche nell'eventualità che le e-cig facciano male come le bionde,  val la pena di convertirsi perchè per i  gusti di un fumatore sono meglio delle bionde.

Devo subito precisare però che per provare sensazioni equivalenti o superiori a quelle delle bionde, bisogna trovare il modello giusto di e-cig,  il liquido più adatto ed imparare qualche trucchetto. Avevo provato in passato a dare qualche tiro alle sigarette elettroniche e mi erano sempre sembrate aria fritta neanche lontanamente paragonabili ad una vera Camel. Pertanto affinchè la conversione abbia successo è necessario avere o tanta fortuna o avere un mentore giusto. Se vi è capitato di riflettere sui motivi di gratificazione del fumare, tralasciando gli aspetti sociologici, sarete giunti ad una o più delle seguenti motivazioni:
  1. Fumo perchè il fumare elimina o smorza una sensazione di irrequietezza. Credo che questo effetto lo faccia sia la nicotina che l'esecuzione del rituale: accensione, aspirate, giochi col fumo, passaggio in bocca,....
  2. Fumo perchè quando inalo provo una piacevole e profonda sensazione in fondo alla gola o nel centro del torace. Tale sensazione si chiama in gergo "colpo di gola" ed è tanto più intenso quanto più elevato è il livello di nicotina, il calore del fumo e la quantità di certi  additivi.
  3. Alla mattina poco dopo svegliato, sebbene nauseato sento incomprensibilmente la necessità urgente di fumare. Credo ce ciò sia dovuto essenzialmente alla dipendenza da nicotina.

In base a queste considerazioni possiamo concludere che per sostituire il fumo abbiamo  bisogno di qualcosa che ci dia la stessa ritualità e gestualità, che ci dia un giusto apporto di nicotina e, per chi lo ama (io, ad esempio), un adeguato colpo di gola. E' evidente che il chewing-gum alla nicotina fornisce solo la nicotina e quindi è un ausilio minimale, mentre la e-cig fornisce il pacchetto intero di sensazioni e per giunta modulabili.

Con il modello di e-cig, le regolazioni  ed  i liquidi adatti, si possono generare nuvole di fumo (che sembrano di fumo ma sono di aerosol profumato)  gigantesche, si può avere fumo più  meno caldo, più  meno spesso (corposo), più o meno aromatico e con gli aromi che più piacciono, tabacco compreso. In base al contenuto di nicotina, alla temperatura e quantità del fumo si può regolare il colpo di gola da zero (niente colpo di gola)  ad una intensità intollerabile tipo vecchie Gitanes o Papier-mais, tanto per capirci. Insomma si può costruire una "fumata" del tutto personalizzata ed impensabile con le sigarette tradizionali. A scanso di equivoci devo dire che non esiste una e-cig universale adattabile a tutti i gusti regolando con continuità tutti i parametri. Esistono diversi modelli anche regolabili ma in un certo intervallo, ma questo, vi assicuro non è un problema.

Val anche la pena di osservare che quando si passa allo svapo dalla sigaretta tradizionale, in breve tempo  i gusti cambiano e ciò che ci piaceva quando eravamo fumatori non necessariamente ci piacerà da svapatori. Ad esempio, nei primi giorni di svapo mi piaceva il fumo caldo della mia prima e-cig, probabilmente perchè somigliava a quello delle bionde. Adesso, dopo 3 mesi, preferisco il fumo tiepido perchè ho cambiato lo stile di aspirazione In effetti il fumatore incallito quando comincia a svapare tende a fare aspirazioni veloci e potenti, diciamo a riempirsi la bocca  in 1.5 - 2 secondi e poi mandare giù. Con la e-cig si può anche fare così, ma per godersela al meglio conviene aspirare meno intensamente ma più a lungo, diciamo per 2.5 - 4 secondi, riempendosi comunque la bocca alla stessa maniera e per ottenere un colpo di gola equivalente o anche superiore a quello della bionda con un fumo più freddo. Con la nuova modalità un fumo troppo caldo darebbe un colpo di gola eccessivo.


Avrei un sacco di modelli di e-cig da consigliarvi e altrettanti da sconsigliarvi ma non mi và di fare pubblicità gratuita (fosse a pagamento ...) e pertanto se decidete di passare dalla sigaretta allo svapo fatevi consigliare da qualcuno che conoscete  o anche nò, ho notato che gli ex-fumatori ed attuali svapatori sono molto comprensivi e disponibili. Se svapare non vi piacerà abbastanza non arrendetevi, molto probabilmente avete sbagliato modello o liquido, ritentate ed eventualmente ritentate ancora, ne val la pena.

Se siete fumatori forti come lo ero io vi posso dare alcune semplici raccomandazioni  per iniziare:
  1. comprate una batteria (in realtà è un alimentatore) a voltaggio  variabile o meglio ancora a potenza variabile e se volete che vi duri tutto il giorno non andate sotto la capacità d 1600 mAh. Se le dimensioni sono un problema, comprate due batterie più piccole
  2. Per i primi tempi prendetevi un atomizzatore top coil di vecchia generazaione  (3-6 Euro) che produce un fumo più caldo e simile alle vecchie bionde. Se riuscirete a convertirvi vi assicuro che lo getterete o lo terrete solo per ricordo e passerete ad atom (izzatori) di qualità più elevata, tipo un bottom vertical coil con aerazione regolabile.
  3. Per i primi tempi prendete liquidi tabaccosi (all'aroma di tabacco) con alto contenuto di nicotina.


Come ho detto, nei primi tempi  è fondamentale usare liquidi con un alto contenuto di nicotina e precisamente 18 milligrammi per millilitro di liquido. In genere si pensa che la nicotina sia la maggiore responsabile del vizio del fumo e delle difficoltà che si incontrano a smettere. Dopo qualche tempo che si svapa si capisce invece  quanto poco sia importante la nicotina e che, anche dimezzandola, con una certa gradualità, cambia poco. Per quanto mi riguarda ho capito che l'aspetto più importante del fumare è la gestualità, il riempirsi bocca e polmoni con qualcosa che non sia aria, fare le nuvole ed infine il colpo alla gola. Quest'ultimo in effetti richiede la nicotina ma in quantità minime e la sua intensità può essere aumentata agendo su fattori diversi quali la temperatura dell'aerosol e/o il tipo di aromi che si aggiungono. In 3 mesi sono passato spontaneamente da 18 mg/ml a 6-9 mg/ml e leggendo in rete ho capito che il mio non è un caso isolato. Ovviamente se si dimezza la concentrazione di nicotina ma  si raddoppia la quantità di liquido inalato gli effetti nocivi cambiano poco, almeno credo, ma comunque è sempre meglio inalare la nicotina piuttosto che la nicotina assieme alle  centinaia di sostanze nocive delle sigarette tradizionali. Comunque io ho cominciato con 3-4 ml al giorno di liquido e continuo allo stesso ritmo ma con meno della metà di nicotina. Fumare 30 sigarette al giorno significa fare circa 450 tiri (puff) al giorno ovvero 1 tiro ogni 2 minuti in media su una giornata di 16 ore (quando si dorme e si mangia e si fa la doccia e ci si lava i denti non si fuma). Il numero di puff giornalieri è solo lievemente diminuito nel mio caso grazie al fatto che quando si svapa non si è vincolati al ciclo dei 12-15 puff consecutivi della sigaretta. A volta capita di fare due puff e rimanere soddisfatti a lungo mentre con la sigaretta, una volta accessa, i tiri li fai tutti, magari gli ultimi con disgusto.


Continua ...





sabato 7 dicembre 2013

Timex Run Trainer 2.0. Commenti dopo 3 mesi di utilizzo

Fotografia con sole diretto
 a mezzogiorno
Fotografia in stanza non illuminata con
sole dalla finestra, probabilmente le
peggiori condizioni di visibilità
RUN TRAINER 2.0 NEW  

Premessa

Dopo 3 mesi di utilizzo intenso del Timex Run Trainer 2.0 (TRT2) mi sento di poter dare un giudizio articolato  sulla sua qualità a breve termine. Premetto che l'esperienza con il precedente modello, il Run Trainer 1 (TRT1), non è stata delle migliori e che quando ho deciso di comprare  il TRT2, dopo aver letto la review di DC Rainmaker, l'ho fatto con non pochi dubbi. E' stata una scommessa che ad oggi credo di aver vinto in quanto sono estremamente soddisfatto del TRT2. Nella recensione che segue non mi occuperò di tutti le specifiche del TRT2 che potete trovare sul sito della timex e nella recensione di Rainmaker e mi concentrerò piuttosto sugli aspetti di mio stretto interesse.

Una premessa fondamentale per capire la mia scelta è che tutti gli orologi con GPS di fascia medio alta, TRT2 compreso, sono basati sullo stesso micro chip ovvero il CRS Sirf star iv che costa una cinquantina di dollari, lasciando ben poco da fare, a livello hardware, alle case costruttrici delle unità. Il Sirf star iv fà il punto geografico in meno di 35 secondi quando viene acceso dopo almeno 2 ore dallo spegnimento, mentre lo fa in 1 secondo quando parte da una condizione di standby. Il chip è dotato di un processore arm 7 che fà tutti i conti di geoposizionamento ed il software di base lo fornisce direttamente la CRS. Pertanto due orologi di marca differente che usano il sirf iv hanno esattamente le stesse prestazioni, perlomeno dal punto di vista del GPS che è la parte più costosa e delicata. Per questo motivo trovo poco logico pagare due prodotti con lo stesso GPS l'uno il doppio dell'altro. Tra l'altro il sirf star iv è in grado di gestire anche un accelerometro (ha alcuni piedini dedicati) e questo semplifica ulteriormente il lavoro di produce le unità, che deve mettere vicino memoria, schermo, tx/rx ANT+  o BT, alimentazione e software di gestione.

Prima di cominciare, un avvertenza. Le mie considerazioni sono basate sulla prova del solo modello di TRT2 che possiedo e la mia unità potrebbe essere nata fortunata. Sul sito di Rainmaker ci sono diversi interventi di utenti "sfortunati" che hanno avuto esperienze problematiche con il TRT2, specialmente nei primi mesi dall'uscita. D'altra parte succede per molti prodotti, ed anche per il garmin 620 la lista degli utenti insoddisfatti è notevole.

La recensione

Cominciamo con i punti di forza in sintesi che mi hanno portato ad acquistarlo e che si sono confermati tali.

Prezzo. 199 Euro su uno store online italiano, e quindi con 2 anni di garanzia, per il modello senza la fascia cardio (tanto va bene qualsiasi fascia ANT+). Prezzo non basso in assoluto ma probabilmente il più basso nella fascia in cui si colloca il TRT2. Il Garmin Forerunner 610 costava molto di più ma soprattutto  non era waterproof il che per un orologio di tale fascia era intollerabile. Infatti il nuovissimo 620 è waterproof a 50 mt esattamente come il TRT2 .

Estetica e tenuta all'acqua. Per quel che conta, l'estetica è accattivante e considerate le dimensioni non eccessive, il TRT2 è un orologio che si può indossare anche tutti i giorni. Per quanto riguarda la tenuta all'acqua posso solo dire che ci ho nuotato spesso con l'orologio indossato e che ci faccio regolarmente la doccia, così come facevo con il vecchio TRT2, e non ho mai avuto problemi. Del resto Timex produce orologi da sempre e questo induce a credere che l'unità sia veramente waterproof fino a 50 metri di profondità.


Display. Rispetto al modello precedente il TRT2 ha un display straordinariamente nitido, ben definito, con contrasto elevato  ed il sistema  di illuminazione notturna è ottimo. Le cifre sono grandi, specialmente selezionando la modalità a due  sole righe e questo è un aspetto che Rainmaker trascura, probabilmente perchè ancora troppo giovane. Dopo i 50 senza occhiali da lettura (e nessuno corre con gli occhiali da lettura) leggere cifre troppo piccole diventa impossibile, in particolar modo in condizioni di scarsa illuminazione. Pertanto la possibilità di visualizzare 600 informazioni contemporaneamente è priva di utilità per mè e preferisco vederne bene 1 o 2 alla volta. Non nego che le dimensioni delle cifre visualizzate hanno determinato al 60% la mia scelta. L'unico concorrente era il Garmin 910XT ma costava troppo ed era un pò "anzianotto" nell'aspetto. Una nota non positiva è che il rivestimento  del display è in plastica e quindi suscettibile a graffiarsi. Considerato che anche il recentissimo Garmin 620 (uscito dopo che avevo comprato il TRT2) ha il rivestimento in plastica, questo sembra essere il trend, ma da un'azienda che produce orologi mi sarei aspettato un vetro zaffiro antigraffio.  Come potete vedere dalle prime 2 immagini del TRT2, si possono invertire i colori di sfondo e testo: sfondo chiaro e cifre scure oppure sfondo scuro e cifre chiare. Di sera preferisco di gran lunga la modalità con sfondo nero (al buio è blu scuro) e cifre praticamente bianche.

GPS. Se chi legge ha avuto il TRT1 molto probabilmente sà quanti problemi gli ha dato fare l'aggancio dei satelliti. Il TRT2 ha un aggancio praticamente immediato. In condizioni ottimali (cielo sereno e spazio aperto) l'aggancio avviene in pochi secondi. Per la precisione, se ci si trova nelle vicinanze del posto in cui si è corso nei giorni precedenti l'aggancio avviene in 3-10 secondi, mentre in un posto nuovo non mi ci sono mai voluti più di 30 secondi anche con cielo nuvoloso, ma la media è sui 15-20. In 3 mesi per 5 corse alla settimana in media, con cielo sereno, nuvoloso e pioggia, il TRT2 non mi ha mai perso i satelliti in corsa. La precisione sulla distanza totale è ottima, diciamo che su percorso di 8 km misto (alberi, edifici e tratti liberi) può può sbagliare di 200 metri, tendenzialmente dal basso (7.8 km piuttosto che 8.2). Il grosso degli errori sono concentrati nei primi minuti ma questo è tipico di tutti i GPS e tali errori iniziali possono essere evitati se si agganciano i satelliti in anticipo rispetto all'inizio della corsa e rimanendo fermi, in modo  da consentire al sirf star iv  di fare il punto con precisione. Siccome spesso è scocciante star fermi un minuto, soprattutto quando fà freddo, io non aspetto e me ne frego degli errori iniziali: sono un problema minore per tutti quelli come mè che fanno almeno un paio di km di riscaldamento lento durante i quali il monitoraggio è irrilevante. Voglio dire che i 200 metri totali di errore su 8k sono irrilevanti per tener traccia del volume e la stima del ritmo nei primi minuti di corsa anche in quanto percepisco da solo se stò andando abbastanza lento. Per capire esattamente di cosa parlo guardate l'immagine che segue che è uno screen shot del percorso registrato con il TRT2 durante un allenamento su un percorso decisamente difficile per qualsiasi GPS in quanto pieno di alberi e con la parte iniziale tra le case.


Nel punto in basso verde, immediatamente dopo che il TRT2 ha fatto il lock dei satelliti ho iniziato a correre, senza aspettare nemmeno un secondo. In rosso ho disegnato il percorso che ho realmente seguito i primi 4 minuti mentre in verde ricalcato di blu c'è il percorso registrato dal TRT2. Potete osservare che il tracciato iniziale è completamente diverso da quello reale per ricongiungersi dopo circa 200 metri (dove linee verdi, rossa e blu si intersecano). Poco dopo c'è un'altro scostamento rilevante (tra i punti 2 e 4) che termina nel punto 4 ovvero a 6 minuti dall'inizio della corsa. Dopodichè il tracciato è estremamente fedele alla realtà. Dei cinque giri di campo che ho fatto (è un percorso lungo il perimetro del campo di atletica esterno all'ovale) uno solo ha uno scostamento sensibile dalla realtà e mi ha misurato 10 metri in più (su 575 circa). Devo precisare che la giornata era serena ma il percorso è tutto sotto gli alberi. Il tratto rettilineo orizzonale in alto è l'unico senza alberi ed infatti i 5 passaggi sono praticamente indistinguibili. Se avessi avuto la pazienza di aspettare un minuto prima di iniziare a correre, come ho fatto stamattina, avrei ottenuto quello che vedete nello screen-shot seguente


Secondo il TRT2 sono partito dal punto verde seguendo il percorso verde ricalcato di blu ma in realtà son partito  dall'inizio della linea rossa che interseca il percorso rilevato (blu) 30-40 metri dopo. Tenete presente che il punto di partenza è sotto degli enormi platani. Notate anche la straordinaria precisione dei giri ( a parte un solo segmento).

In definitiva se uno vuole precisione fin dai primi minuti, deve rassegnarsi ad aspettare un minuto fermo dopo aver fatto l'aggancio dei satelliti, altrimenti si tiene le inevitabili precisioni iniziali. Questo succede con tutti i GPS a meno che, come ad esempio sugli smartphone  android, non vengano usate le celle delle reti cellulari per stimare inizialmente la posizione, rendendo tutto più facile al gps.

In condizioni ottimali, ovvero su un percorso quasi rettilineo a cielo aperto (senz'alberi ed edifici alti) la precisione del TRT2 (in realtà del sirf star iv) è straordinaria. Su 1000 metri potete aspettarvi un errore di 20 metri. Per verificarlo ho rilevato  con il gps della macchina le coordinate di due punti agli estremi di una strada perfettamente rettilinea di campagna ed in base alle coordinate ho calcolato la distanza di 1070 metri con una precisione di +- 6 metri. Poi ho fatto la prova correndo con il TRT2 che mi ha dato 1.04 km ovvero 30 metri in meno. Tra l'altro, siccome per risparmiare energia il TRT2 fà il punto una sola volta al secondo, i punti rilevati di inizio e fine del percorso (quando ho premuto il pulsante di inizio giro) sono spostati di qualche metro rispetto ai punti di riferimento (ho usato due pali della luce) e tenendone conto vengono fuori 1050 metri corrsipondenti ad un errore di 20 metri.

Sensori opzionali. Il TRT2 comunica via ANT+ e pertanto c'è poco da dire se non che qualsiasi monitor cardio ANT+ e qualsiasi footpod ANT+ và bene, compresi quelli che vendono al Decathlon e costano meno dei timex e dei garmin originali. Tra l'altro devo dire che il produttore dei footpod e cardio che fornisce timex è lo stesso (cinese) che fornisce decathlon ed i dispositivi, marchi a parte sono esattamente gli stessi, come potete osservare nelle foto che seguono

Il monitor cardio della Decathlon a sinistra ed il Timex a destra. Nella foto sotto il retro di entrambi.


La fascia elastica è comoda e di qualità passabile e dura 60-70 uscite da 1 ora circa dopodichè i rilevamenti cominciano a dare i numeri e dovete cambiarla (Decathlon). Il footpod è estremamente preciso, non soffre di mal di tempo, e lo potete usare anche sul tapisroulant in palestra. Senza calibrazione sull'anello interno dell'ovale da 400 metri mi dava 420 metri circa, dopo la calibrazione mi dà un errore di più o meno 4 metri circa su 400 (1% di errore), assolutamente irrilevante e dell'ordine della differenza di lunghezza tra linea interna ed esterna della corsia interna.

Autonomia.
L'autonomia del TRT2 con GPS e ANT+ accesi è di circa 8 ore che scendono alla metà con l'illuminazione notturna sempre accesa. In pratica ci faccio 5 sedute settimanali da un'ora di cui 3 notturne senza caricarlo. In realtà, siccome scarico gli allenamenti sul pc almeno due volte alla settimana, e per scaricarli bisogna collegare il TRT2 con l'apposito cavo USB, lasciandolo ogni volta collegato un quarto d'ora, non ho mai l'esigenza di caricarlo appositamente in quanto la carica è molto rapida.

Memoria. E' l'unico punto debole del TRT2 ed è incomprensibile come i progettisti dell'unità abbiano creato questo tallone d'achille rendendo disponibile solo 1 Mbyte scarso per memorizzare gli allenamenti. Con 1 Euro in più avrebbero eliminato ogni riserva ma probabilmente non è stata una questione di costi. Non ho mai portato ad esaurimento di memoria l'unità in quanto, come già detto, scarico regolarmente gli allenamenti ed in definitiva per mè, che passo 12 ore al giorno al computer non è un problema, ma, immagino, che non tutti i runner siano dei tecnomaniaci e che la scarsa memoria possa essere un problema per qualcuno.

Menù dell'orologio.
Rispetto al TRT1 qui son stati fatti passi da gigante. Schiacciando il grande e comodo tasto centrale destro (OK) compare il menù suddiviso in cinque voci di cui due che fanno partire il monitoraggio in modalità cronografo (Cronog)  o intervalli (Int.Trainer), vedi la foto che segue.

Il menù a 5 voci del TRT2
In entrambi i casi appena si seleziona la voce del menù compare la domanda se si vogliono attivare i sensori ed è preselezionato il SI per cui schiacciando ancora il tasto destro parte il collegamento con GPS, footpod e cardio in funzione di come è configurato l'orologio. Col tasto inferiore destro (start) si fà partire il cronografo-monitoraggio, con il destro in alto (pause-stop) si sospende per poter riprendere  nuovo con start. Schiacciando due volte "pause" si ottiene lo stop definitivo. Per la maggior parte dei miei allenamenti mi bastano due pressioni sul tasto centrale OK e lo start per iniziare in quanto la modalità "pause" si può configurare in automatico (Voce Impostazioni del menù) quando ci si ferma o si cammina (si sceglie la velocità di "pause") e riprende in automatico quando si ri-inizia a correre. Appena comprato, gli intervalli erano inutilizzabili, ma con l'update del firmware di Novembre i problemi son stati risolti:  adesso si possono impostare quante ripetizioni si vogliono di un esercizio basato su 6 differenti frazioni (ognuna basata sulla durata o sulla distanza) e si possono inserire all'inizio ed alla fine della seduta un riscaldamento ed un cool down anch'essi basati sulla distanza o sul tempo.

Software. Per scaricare e gestire l'unità bisogna installare il device agent prodotto da Training peaks. Devo dire che le ultime versioni sono migliorate straordinariamente. Con il vecchio TRT1 era una pena aspettare che il device agent scaricasse dall'orologio tutti i dati, con il TRT2 invece è un'operazione quasi immediata e ci vogliono pochissimi secondi per scaricare tutti gli allenamenti. Tra l'altro quando si collega l'orologio al pc, questo viene riconosciuto come dispositivo USB (solo in lettura) e si possono scaricare direttamente i files degli allenamenti (in formato .fit) sul computer. Devo però osservare che anche con l'ultima versione del device agent (3.0) non si possono cambiare i settaggi del TRT2 e cancellare gli allenamenti sotto windows vista, mentre con windows 7, 8 ed 8.1 non ci sono problemi. Sotto XP non ne ho idea. Si può comunque fare tutto direttamente dal TRT2 ed in particolare si cancellano tutti gli allenament con una voce del menù rapidamente  accessibile. Sul software per l'analisi degli allenamenti (Training Peaks) non mi pronuncio essendo probabilmente il meglio in circolazione, anche se le funzionalità gratuite non sono moltissime.

Allarmi. Tutti gli allarmi possono essere configurati come sonori e/o a vibrazione. Ad esempio, io ho configurato il TRT2 con la modalità auto-lap sulla distanza di 1k con allarme a vibrazione e pertanto ad ogni km mi vibra discretamente il polso e per 5 secondi circa sul display posso leggere le statistiche sull'ultimo km (ritmo medio, tempo,...).

P.S.

Mi è capitata una cosa strana. Sono andato a correre con GPS e footpod attivati ma mi ero scordato di mettere il footpod sulla scarpa. Ciò nonostante quando ho analizzato l'allenamento con Training Peaks mi sono ritrovato nel grafico anche l'andamento (verosimile) della cadenza che in teoria non poteva esserci visto che può essere rilevata solo da un accelerometro. La cosa è strana perchè ufficialmente il TRT2 non ha un accelerometro interno ed è espressamente indicato che per misurare la cadenza bisogna collegarlo al footpod. Cercherò di approfondire la questione perchè dal comportamento sembrerebbe esserci un accelerometro.


Giudizio finale.
Il TRT2 vale tutti gli euro che l'ho pagato e lo ricomprerei. Da ingegnere e progettista ritengo però che Timex dovrebbe osare di più e sfidare Garmin sulla fascia alta del 620. Considerato che GPS, display, estetica  e comunicazione  del TRT2 sono già al top, per pochi dollari in più, Timex potrebbe dotare l'unità di 10 Mbyte di memoria ed un vetro antigraffio. Se poi dotasse il TRT2 di un sensore cardio luminoso (il MIO che equipaggia anche l'ultimo nato di Adidas) e di un accelerometro interno, sarebbe il massimo.

A nice trick.
Quando fà freddo o anche nò e non hai voglia di correre ma sai che dovresti, sforzati e dì a te stesso: "correrò solo 10 minuti". Esci pensando che fra pochissimo sarai di nuovo al caldo e vedrai che tornerai contento e caldo ma dopo un'ora.

giovedì 14 novembre 2013

Intervalli ad alta intensità nell'allenamento per il fondo e mezzo fondo

Premessa

Dedicato a "Lucky".

L'idea di riflettere per iscritto su questo argomento mi è venuta a seguito di un'animata discussione con un amico, che voleva convincermi che gli intervalli vanno fatti ad una velocità molto superiore a quella che pratico di solito. 
In poche parole,  premesso che il mio ritmo di corsa al massimo consumo di ossigeno è intorno ai 4'30" - 4'45" per km, valutato monitorando l'andamento del battito cardiaco all'aumentare della velocità (lo so, sono un runner  piuttosto scarso anche considerando l'età di 52 anni), sono solito fare gli intervalli di 400-600 metri al ritmo di  4'30"-4'50" a km (  400m in 1'45"-1'50") con circa un minuto di ricupero attivo. Secondo il mio amico invece dovrei fare di meglio, ovvero dovrei fare i 400m in  circa 1'25" che corrispondono ad un ritmo di 3'32"/km, praticamente la mia velocità massima assoluta, o perlomeno quella che presumo essere tale, considerato che non mi sono mai allenato  per lo sprint e pertanto non ho dimestichezza. Inoltre sostiene che dovrei fare un ricupero totale o quasi tra un intervallo e l'altro. Alla mia obiezione che l'obiettivo del mio allenamento è quello di migliorare il mio tempo sui 5k e 10k, e non quello sui 400m, l'amico risponde che comunque devo fare gli intervalli più velocemente (e, necessariamente  con più ricupero) perchè solo così posso sperare di migliorare la mia resistenza alla velocità (parole sue). Io gli ribadisco che la resistenza alla velocità di 3'32"/km per 400 m mi interessa poco visto che sui 5k è già tanto se riesco a tenere i 5'/km, ma lui non vuol sentire ragioni in base alla sua esperienza di runner (sui 200 e 400 m, guarda il caso).

Discussione

Gli intervalli fanno parte di qualsiasi programma di allenamento alla corsa da almeno 60 anni, ovvero a seguito dei successi olimpici del mitico Emil Zatopek, ma pare fossero praticati da alcuni runners già agli inizi del secolo scorso e Jack Daniels (J.D.) li prescrive per almeno un seduta settimanale a tutti i livelli.
Da Zatopek in poi atleti ed allenatori hanno usato la pratica degli intervalli corsi a velocità sensibilmente superiore a quella di gara. In generale, per corsa ad intervalli veloci, si intende una corsa fatta di porzioni a una velocità compresa tra la soglia del lattato e la velocità massima assoluta, in funzione della distanza obiettivo per cui ci si allena, seguiti da porzioni di ricupero a corsa lenta o riposo. Più è breve la distanza obiettivo e più sono brevi e veloci gli intervalli.
Restringendo l'attenzione all'allenamento per il fondo e mezzo fondo, J.D.  prescrive  gli intervalli al 100% della velocità di massimo consumo di ossigeno (vVO2max) mentre la maggior parte degli autori moderni li prescrivono ad una velocità compresa tra il   90-100% di vVO2max, ma sia J.D. che gli altri concordano sui recuperi brevi e assolutamente non completi. Il motivo di tali indicazioni è semplice ed immediato: nel modello concettuale correntemente utilizzato per l'endurance, gli intervalli hanno lo scopo di aumentare la capacità di consumo massimo di ossigeno (VO2max) e per farlo, in base al principio dell'omeostasi, si ritiene che si debba esporre il corpo alla situazione limite (VO2max)  per il tempo più lungo possibile. Siccome un atleta ben allenato  partendo da uno stato di sforzo intorno al 60% VO2max  (dopo il riscaldamento) ci mette circa due minuti per arrivare alla VO2max (io 2'30"),  la parte di sessione che allena la VO2max comincia solo dopo 2 minuti e siccome tale ritmo si riesce a sostenere solo per brevi periodi, il tempo di allenamento vero sarebbe troppo breve. Per tale motivo si introducono gli intervalli con ricupero parziale. Faccio un esempio. Si parte dal 60% e si corre alla vVO2max per 4 minuti ottenendo 2 minuti netti di allenamento al VO2max, si ricupera per 2 minuti scendendo all'85%  e si ricomincia la parte veloce raggiungendo stavolta il 100% in un minuto in quanto si parte già dall'85% e quindi 3 minuti allenanti, e si continua in questo modo, collezionando alla fine della seduta decine di minuti in zona VO2max. Ciò si può fare con intervalli veloci più o meno lunghi (15 secondi - 6 minuti) ed adeguati tempi di ricupero (più lungo è l'intervallo e più lungo è il recupero).

In base a questo modello non ha alcun senso correre ad una velocità maggiore della vVO2max in quanto
1) oltre a tale velocità il consumo di ossigeno rimane stabile e quindi anche se aumenta la percezione di sforzo, non aumenta lo stimolo allenante nei confronti del VO2max.
2) correre oltre alla vVO2max, diciamo al 120%, si può fare solo per tempi brevissimi e quindi si rimarrebbe in zona allenante per un tempo minore e per giunta con maggior affaticamento. Inoltre per sostenere diversi intervalli sarebbero necessari tempi di ricupero decisamente più lunghi.

Faccio un esempio esplicativo sul mio caso. Il mio cuore ci mette circa 2'30" per arrivare al massimo quando faccio un all out. Il che significa che qualsiasi intervallo più breve di 2'30" non mi fà arrivare alla VO2max, ma in realtà per produrre la sollecitazione allenante basta oltrepassare il 90% di VO2max, ed io arrivo al 90% in circa 2' partendo dal 65%. Pertanto  un intervallo che duri 2' con 2' di ricupero non và bene mentre 2' di corsa con 1'  di ricupero va benissimo in quanto all'inizio dell'intervallo successivo parto dall'82% e arrivo al 95%. In quello successivo parto dall'83% e arrivo al 96% e così via. Semplice no?
Se invece facessi come mi consiglia "Lucky", la porzione di corsa durerebbe 1'25" e arriverei all'82% circa di VO2max, poi ricupero totale e tornerei al 50% e così via, senza avere minimamente sollecitato la VO2max! In pratica farei quello che  J.D. chiama ripetizioni e non ha nulla a che fare con la VO2max e la resistenza alla velocità per i 5 e 10k. Facendo tali ripetizioni otterrei l'effetto di aumentare la potenza muscolare e migliorare la mia velocità massima assoluta (3'30"/km) che non è un parametro limitante la mia prestazione attuale sui 5k, visto che li corro a 5'/km e posso sperare in un allungo finale a 4'30" per un paio di minuti. 

In effetti, il discorso cambia completamente se l'obiettivo dell'allenamento non è quello di aumentare la VO2max ma  la prestazione anaerobica e\o la potenza muscolare.  Infatti, un atleta top level può correre i 3k ad una velocità molto prossima alla vVO2max, mentre uno scarso come mè, è già tanto se a tale velocità riesce a fare 1k. Ciò significa che per un atleta top level sui 3k i meccanismi anaerobici, sebbene meno importanti di quelli aerobici,  saranno comunque determinanti per la prestazione e di qui la necessità assoluta di stimolarli in allenamento, ad esempio con la corsa ad intervalli a velocità superiore a vVO2max (ma certo non a vmax).  Un atleta top level sui 10k deve correre la gara a velocità sensibilmente inferiore a vVO2max, diciamo intorno al 90-95% vVO2max, ma deve anche essere in grado di effettuare eventualmente uno sprint finale e pertanto  una piccola  quantità di allenamento a velocità superiore a vVO2max, dovrà farla. Per eliminare ogni confusione sul significato, le modalità e gli obiettivi allenanti degli intervalli, J.D. utilizza due termini nettamente distinti: indica come intervalli quelli fatti a velocità prossima alla vVO2max, che hanno lo scopo di sviluppare la capacità aerobica massima, mentre indica con il termine  ripetizioni quelli fatti a velocità superiore con lo scopo di sviluppare il sistema anaerobico, la potenza muscolare ed eventualmente il reclutamento di fibre muscolari veloci (IIx).

Questo è ciò che vi racconto io, in base a ciò che ho letto e per come l'ho capito. Per saperne di più e direttamente dalle fonti più autorevoli, consiglio, come al solito, di partire da Running Formula di J. Daniels. Anche l'intervento di Owen Anderson sull'argomento è piuttosto brillante e consigliato. Per quanto riguarda la letteratura scientifica sull'interval training non c'è che da scegliere, negli ultimi 15 anni è stato un argomento caldo. Come punto di partenza consiglio l'articolo serio ma discorsivo di Seiler & Tønnessen, ricchissimo di riferimenti bibliografici. Per un approfondimento consiglierei  moltissimi lavori della produzione scientifica di Veronique Billat, vero mostro sacro della scienza del training (qui la  bibliografia completa della Billat su PubMed). Della Billat sono da leggere almeno i due lavori sulla storia dell'interval training.


P.S.
A conclusione dell'intervento un'osservazione di carattere generale sulla specificità che, a mio avviso, è alla base dell'errore di "Lucky". L'allenamento deve essere specifico per l'evento a cui ci si prepara. Non esiste una preparazione generale con esclusione, forse, del periodo iniziale in cui un neofita comincia a dedicarsi alla corsa o quando si riprendono gli allenamenti  dopo un lungo stop. La preparazione per una gara sui 400m non ha nulla a che fare con la preparazione per i 10k, sono eventi opposti che coinvolgono non solo meccanismi metabolici completamente diversi, ma addirittura fibre muscolari diverse. Nei 400 m, sebbene il 25% dell'energia derivi dal metabolismo aerobico, la VO2max non è un parametro fisiologico limitante in quanto durante l'evento non si arriva  alla VO2max. Infatti, considerato che il record mondiale sui 400m è di 43 s, in tale tempo, supponendo di partire dal 50%, un atleta arriverà sì e no al'85% di VO2max. Più realisticamente, gli atleti alla partenza hanno già una consistente mobilitazione del consumo di ossigeno causato sia dal riscaldamento che della tensione pre-gara e comunque non arrivano, al traguardo, a mobilitare la VO2max (vedi qui i risultati per atleti intermedi). Inoltre le fibre muscolari coinvolte nei 400m sono sostanzialmente quelle bianche (IIa e IIx) e tutti gli allenamenti sono rivolti a loro. D'altra parte la velocità massima assoluta non è un parametro limitante per un evento sui 10k che  si corre al 90-95% circa di vVO2max, a parte un eventuale sprint finale, che comunque si corre molto sotto alla velocità massima assoluta e le fibre coinvolte sono sostanzialmente quelle rosse ed solo in parte le IIx. Pertanto far correre in allenamento un 400-metrista al ritmo   dei suoi migliori 10k per 5-6 km o un far correre un mezzofondista lento al ritmo dei suoi migliori 400 è come mettere lo zucchero sui c... e forse peggio, almeno lo zucchero non fà male.

Infine, qualche numero a supporto.
Un top sprinter ha il 75% di fibre bianche ed il 25% di fibre rosse, un top distance runner ha le proporzioni esattamente invertite(tabella 1.3 della 5-a edizione del mitico libro Physiology of sport and exercise di Costill & al.)
Nella stessa opera, tabella 9.3, è riportata l'enfasi in termini percentuali, che viene data nell'allenamento dei top runners per varie distanze di gara, ai tre sistemi metabolici, i due anaerobici (ATP-PCr e glicolitico), e l'aerobico.  Per i 400m l'enfasi è rispettivamente 80% - 15% -5% mentre nei 10k è  5% -15% -80%, guarda il caso, esattamente l'opposto.

Un atleta olimpionico sui 400 m può avere un VO2max nel range di 55-65 ml/kg/min, e 55 è un valore di poco superiore  a quello di un maschio  non allenato tra i 20 e 30 anni(44-51 ml/kg/min), mentre  un olimpionico sui 10k ha una VO2max nell'intervallo  75-85 ml/kg/min (vedi qui alcuni record)

Aggiornamento del 3/12/2013
Per coincidenza, sul numero di dicembre 2013 di "correre" c'è un articolo di Orlando Pizzolato che parla delle ripetute sia classiche che nella versione morbida di Van Aaken. Pizzolato considera l'esempio di un runner  che corre i 10k in 40' ovvero ad un ritmo di 4'/km e quindi riporta 

  • le ripetute classiche :          6 x 1km a 3'55" - 4' con 2'30" di recupero
  • le ripetute alla Van Aaken: 8 x 1km a 4'10" con 2' di recupero
  • le ripetute morbide sue     : 4 x 1km a 4'15" con recupero 1km a 4'35"
Ora, lasciando stare le versioni morbide, la classica viene prescritta  secondo Pizzolato a 5" in meno del ritmo di gara e con ricupero parziale. Daniels è molto più severo, classifica tale runner con VDOT=52 (vedi qui), e prescrive gli intervalli di 1k a 3'48" e quelli sui 400m in 91" (1'31") , mentre le ripetizioni sui 400 le prescrive a 1'25", ovvero alla velocità alle quali dovrei farle io secondo l'amico "Lucky", con la differenza che io, secondo Daniels, sono un VDOT=38, ovvero estremamente più scarso del runner di Pizzolato.



domenica 29 settembre 2013

Virtù dell'aglio: mito o realtà?

Cancro-aglio.jpg

Quando ero bambino sentivo dire che l'aglio era un ottimo rimedio contro i vermi. Vero o no, considerato che i vermi intestinali non sono più un grande problema, perlomeno nelle società avanzate,  la questione ha poca importanza. Quel che è certo è che l'aglio nella tradizione popolare è considerato un toccasana per svariati disturbi e più in generale un alimento con diverse proprietà benefiche. E' anche vero che i grandi consumatori d'aglio puzzano di un fastidioso odore emanato dall'alito ma soprattutto dalla pelle e pertanto prima di decidere di mangiare aglio, magari crudo, uno ci pensa sù due volte. Se lo mangiassero tutti probabilmente l'olfatto perderebbe la sensibilità e l'inconveniente svanirebbe nel nulla, credo, ma almeno in Italia, grandi dosi di aglio non se ne mangiano, se non saltuariamente e generalmente cotto. In Slovenja invece pare che tutti o molti lo mangino  ( quanti viaggi ho fatto in apnea nella  cabinovia del Lussari, con sciatori sloveni che alle 10 del mattino trasudavano aglio).

L'aglio per molti è un ingrediente indispensabile in cucina, penso ad esempio al sugo di pomodoro, ma cosa c'è di vero sulle proprietà salutistiche dell'aglio? In questo post vorrei indagare sulla questione.

Lunedì 30 Settembre 2013,

Tra le svariate monografie di carattere scientifico interamente dedicate all'aglio, vedi ad esempio questa, ho trovato una vera chicca  (clicca qui per scaricarla)

GARLIC, A MEDICAL DICTIONARY, BIBLIOGRAPHY, AND ANNOTATED RESEARCH GUIDE TO INTERNET REFERENCES di J.N. Parker e P.M.Parker, ICON Health Publications, 2003.

Si tratta di un libro rivolto a medici ed istituzioni sanitarie che raccoglie informazioni e metodologie di ricerca delle stesse per quanto riguarda la ricerca sull'aglio sul web aggiornata al 2003. In pratica fà quello che cerco di fare sempre io, ma in modo sistematico ed approfondito, assolutamente da leggere! Il grosso problema è che si tratta di un libro datato 2003 che parla di una tecnologia (il web) che dal 2003 ad oggi ha visto enormi cambiamenti e la maggior parte dei link  che riporta non sono più validi . Pertanto, sebbene l'impostazione del libro rimanga assolutamente valida i dettagli operativi non lo sono più. Comunque la pubblicazione contiene i riferimenti di migliaia di articoli della letteratura medico scientifica, praticamente tutto ciò che è stato scritto su aglio e salute fino al 2003.

Prima di cominciare  ad analizzare le evidenze scientifiche sugli effetti dell'aglio è bene fare alcune precisazioni. In generale bisogna dire che per svariati motivi non è semplice studiare gli effetti del consumo di aglio (o altri alimenti di uso comune) sulla popolazione. Per chiarire questa affermazione si consideri il seguente esempio.
Supponiamo di aver selezionato un campione di 10000 soggetti disponibili ad un esperimento per i prossimi 10 anni per valutare l'effetto di prevenzione dell'aglio rispetto alle patologie cardiocircolatorie. Ad ogni soggetto viene somministrato un questionario sulle sue abitudini alimentari e tra le domande ci mettiamo
1) "quanti grammi di aglio al giorno consuma mediamente?"
2) "usa aglio fresco o aglio secco in polvere?"
3) "mangia aglio crudo o aglio cotto e nel caso, che tipo di cottura esegue?"
Se provate a rispondere a tali domande, vi troverete mediamene imbarazzati. Ad esempio io uso comunemente l'aglio in cucina (fresco ma  cotto) ma non ho idea di quanti grammi al giorno ne consumo. Potrei dire 2-4 spicchi alla settimana, ma ci sono spicchi piccoli e spicchi grandi e non sò quanto pesa uno spicchio. Non solo, quando metto l'aglio nel sugo di pomodoro, dopo la cottura lo tolgo e non ho idea di quanto aglio rimanga effettivamente nel sugo.  Molti soggetti che non cucinano personalmente, probabilmente non sanno nemmeno se la moglie (o il marito) lo usano e non hanno idea se lo usino fresco o in polvere, crudo o cotto. Pertanto i risultati del questionario saranno inevitabilmente poco accurati. Il problema  potrebbe essere superato se i soggetti si dichiarassero disposti  a consumare per i prossimi 10 anni una dose di aglio stabilita direttamente dai ricercatori, magari cruda. Ma in tal caso, i costi della ricerca lieviterebbero, diventerebbe comunque difficile trovare i volontari e comunque non ci sarebbe la possibilità di verificare che i soggetti utiizzino davvero le dosi prescritte. Inoltre c'è da aspettarsi che chi accetta appartenga al gruppo di persone più consapevoli ed attente alla propria salute e quindi che segua delle abitudini alimentari già piuttosto sane, al punto che poi risulterebbe difficile discernere tra gli effetti del consumo di aglio ed una dieta salubre di suo. Un'altro problema è che chi consuma molto aglio potrebbe essere un grande amante dei vegetali e consumare  molta frutta e verdura e quindi gli eventuali risultati positivi potrebbero essere dovuti a tale abitudine piuttosto che all'aglio.


Aglio e cancro

Ci sono diversi studi che indicano gli effetti protettivi del consumo di aglio, crudo o cotto, rispetto a varie forme di tumori. Questa pagina pubblicata dal National Institute of Health, l'istituto di sanità americano, ne è un ottimo resoconto e conclude che, sebbene siano necessari approfondimenti, l'aglio ha la capacità di prevenire diversi tipi tumori. Dice anche che non è ancora chiaro quali siano le dosi efficaci e rimanda ad una posizione ufficiale dell'OMS che prescrive 5-10 grammi al giorno (1 spicchio più o meno). Nella stessa pagina è riportata una ricca bibliografia scientifica sull'argomento. 

Riporto di seguito un elenco di alcuni articoli selezionati sugli effetti benefici dell'aglio nella prevenzione dei tumori, pubblicati su riviste mediche scientifiche ed accompagnati da un breve sintesi del contenuto.

  • Raw garlic consumption as a protective factor for lung cancer,...,  July 2013. In questo lavoro viene studiata la correlazione statistica tra il consumo di aglio ( aglio grezzo almeno due volte alla settimana) e l'incidenza di tumori del polmone in un campione di alcune migliaia di individui  della popolazione cinese e viene rilevata un'associazione inversa tra il consumo di aglio e il tumore al polmone:  i consumatori di aglio hanno il 44% di probabilità in meno di ammalarsi. L'associazione positiva, sebbene attenuata, rimane valida anche per i fumatori.
  • Garlic and cancer: a critical review of the epidemiologic literature,..., J. Nutr.,vol. 131 no. 3.  In questo studio, ormai datato, vengono analizzati i risultati  di 19 articolari pubblicati nella letteratura medico scientifica dal 1966 al 1998 a riguardo della correlazione tra consumo di aglio e vari tipi di tumore. I risultati sono variamente positivi per i consumatori di aglio rispetto  ai non consumatori a consumatori + deboli:    1) sensibile riduzione dei tumori allo stomaco (10-60 % in meno nei vari studi),  2)  sensibile riduzione dei tumori gastrici  (dal 10 al 60%),  3)  sensibile riduzione di altri tipi di tumori.                   E' da osservare che in alcuni degli studi analizzati è stato considerato anche l'effetto degli integratori a base d'aglio senza riscontrare i benefici del consumo di aglio grezzo, crudo o cotto.   
  •  Allium vegetables and risk of prostate cancer,..., Asian Pac. J. Cancer Prev., 14 (7), 2013. Studio condotto su un campione di 132.129 soggetti che rileva una riduzione del rischio di cancro alla prostata del 23% per i consumatori di aglio ed una riduzione del 16 % per i consumatori di cipolla.

Di articoli come questi ce ne sono a decine pubblicati negli ultimissimi anni e tutti con conclusioni più o meno positive sull'effetto dell'aglio nei confronti del cancro.  Quale sia la dose minima efficace non è facile capirlo in quanto in alcuni lavori si parla di consumo 2 o 3  volte alla settimana senza specificare quanto ed in che forma. Da altri lavori si desume che le dosi efficaci sono intorno ad 1-2 kg di aglio all'anno, ovvero circa 2.5-5 grammi al giorno, abbastanza in linea con le raccomandazioni dell'OMS.  In definitiva credo si possa affermare con ragionevole certezza che l'aglio ha una discreta e talvolta ottima  funzione protettiva nei confronti di  svariate forme di cancro.

Aglio ed ipertensione arteriosa


Che il consumo regolare di aglio contribuisca a ridurre la pressione arteriosa negli ipertesi pare sia una certezza nella comunità scientifica e l'unica  questione  dibattuta è semmai la quantificazione di tale riduzione.  Uno studio recente basato su una sperimentazione clinica ( e quindi con pazienti controllati) riporta che il consumo di aglio, cotto o crudo, abbassa in media la pressione sistolica di 10 mm Hg e la diastolica di 9 mm Hg rispetto alla somministrazione di un placebo. I risultati sono in linea con una meta-analisi pubblicata nel 2008 che include i risultati di 11 diversi lavori,  in cui si rileva una riduzione media della pressione sistolica di 8.6 mm Hg nei pazienti ipertesi, ed una riduzione minore nei normotesi. Non si tratta di effetti straodinari, ma nemmeno trascurabili e sicuramente efficaci nei pazienti borderline. Una bella dosa di aglio giornaliera accompagnata da un discreta riduzione del peso corporeo potrebbero essere utili a molti.


Conclusioni

Considerati i discreti ed accertati effetti protettivi che il consumo di aglio ha su diversi tipi di tumore, e il sensibile effetto di diminuzione della pressione arteriosa, legata alle malattie cardio-vascolari, mi sembra di poter concludere che i consumatori di aglio in media abbiano una speranza di vita maggiore dei non consumatori. Per essere certi bisognerebbe  capire però se gli effetti collaterali del consumo di aglio, ovvero il cattivo odore, non prevalgano sugli effetti benefici. Per capirci: potrebbe anche essere che il forte consumatore di aglio sia una persona evitata dagli altri e quindi sola e quindi triste e la tristezza, si sà, fa male alla salute!

martedì 27 agosto 2013

Considerazioni sulla dieta ideale



Premessa

Quest'estate ho discusso con due ragazzi che seguono diete tipiche di chi frequenta le palestre. Il primo, Alex, segue una dieta 40-30-30 ovvero assume il 40% delle calorie giornaliere dai carboidrati, il  30% dalle proteine ed il 30% dai grassi per un introito calorico giornaliero di 3000 kcal (secondo lui). Facendo due conti, essendo il 30% di 3000 uguale a 900 kcal e considerato che un grammo di proteine fornisce circa 4 kcal, risulta che Alex mangia 225 grammi di proteine al giorno. Posto che pesa 72 kg significa che assume 3.1 gr di proteine per ogni kg di massa corporea. Mi è sembrato decisamente troppo, almeno per uno che voglia seguire una dieta salutare! Quando gli ho fatto presente che mi sembrava un valore eccessivo mi ha risposto che i suoi valori ematici sono perfetti, fine del discorso. Il secondo palestrato, Gianluca, ha solo specificato che assume 2.6 g di proteine per kg di massa corporea e che mangia pollo (senza pelle) alla mattina a pranzo ed a cena. Sempre troppo, secondo me.

D'altra parte, in varie occasioni ho discusso anche con un amico di vecchia data, Andrea,  vegetariano o più precisamente vegano ed aspirante frugivoro. Egli è convinto che la dieta ideale dell'uomo sia basata sulla frutta, ma non essendo ancora pronto alla conversione, per adesso è semplicemente vegano. In generale i sostenitori della dieta frugivora giustificano la scelta in base al fatto che un qualche primate (scimmia)  lontano antenato dell'uomo fosse frugivoro ed evidentemente che i milioni di anni in cui i nostri antenati si sono cibati anche di carne pesce legumi cerali ed altro non sono bastati a produrre adattamenti fisiologici positivi alla dieta onnivora.

Pensano invece esattamente il contrario i sostenitori della paleodieta   (non tanto diversa dalla dieta Atkins) ovvero la dieta che verosimilmente seguivano i nostri antenati preistorici nel paleolitico tra 2.5 milioni di anni fa e 10000 anni fa. L'idea della paleodieta è che l'evoluzione e gli adattamenti alimentari conseguiti dai nostri progenitori cacciatori-raccoglitori in 2.5 milioni di anni siano quelli ideale per l'uomo e che invece la dieta attuale, basata su agricoltura ed allevamento e sviluppatasi a partire dal neolitico (8000 A.C.) non sia salutare. In pratica secondo la paleodieta l'uomo dovrebbe cibarsi di carne e pesce ovvero tante proteine e grassi moderati (gli animali selvaggi hanno meno grasso di quelli allevati) ed in misura minore di carboidrati (sopratutto  frutta) oltre che di verdura.

In effetti la paleodieta e la dieta frugivora rappresentano i due estremi opposti delle scelte alimentari perlomeno da un punto di vista biochimico. Da una parte tante proteine e grassi e pochi carboidrati, dall'altra pochissime proteine, pochissimi grassi e tantissimi carboidrati.

In contrasto con questi modelli estremi basati su argomentazioni affascinanti ma razionalmente deboli, in questo post cercherò di capire quali siano le posizioni attuali della comunità scientifica sulla dieta ideale per l'uomo. Prima di cominciare seriamente voglio però esternare le mi opinioni sugli estremisti alimentari.

Sulla paleodieta. L'idea della paleodieta è affascinante e di presa diretta: se l'uomo ha mangiato in un certo modo per circa 2.5 milioni di anni si è sicuramente adattato a tale dieta e, non bastando 10000 anni di agricoltura ed allevamento per produrre nuovi adattamenti,  la paleodieta è l'ideale a tutt'oggi. L'obiezione a tale posizione che mi sorge spontanea è: ma se la paleodieta è quella ideale, com'è che nel paleolitico l'età media (in base all'età stimata degli esemplari di ominidi rinvenuti) era di circa 30 anni?   La risposta dei paleo-seguaci potrebbe essere che la causa della vita breve erano le malattie e la pericolosità stessa della vita del cacciatore-raccoglitore ma comunque non può negare l'evidenza dei fatti. Inoltre mi vien da pensare che il processo evolutivo abbia poco a che fare con la longevità ed abbia piuttosto favorito la riproducibilità della specie umana. Mi spiego meglio. Dal punto di vista dell'evoluzione è importante che una specie si riproduca il più numerosamente possibile e non che invecchi. Quando un rappresentate della specie non è più in grado di riprodursi è del tutto inutile e geneticamente ininfluente.  Pertanto è abbastanza logico pensare che l'evoluzione abbia favorito la precocità e la robustezza degli individui nel periodo fertile e non certo la longevità dei vecchi sterili.
In definitiva sia l'evidenza che la logica  non permettono di considerare ideale la paleodieta ai nostri tempi in cui il desiderio supremo è quello di vivere più a lungo possibile nel miglior stato di salute possibile.

Sui frugivori. Intanto è necessario dire che non conosco frugivori puri. Nell'ambiente dei vegani quello di diventare frugivori è più un desiderio che una realtà. Popolazioni umane frugivore non ne esistono (mentre esistono popolazioni che si cibano solo di carne e pesce, ad esempio gli inuit)  Che un individuo possa vivere di sola frutta (senza vermi)  è tutto da dimostrare (ferro e proteine carenti e vitamina B12 inesistente)  e sembra che gli stessi vegani aspiranti frugivori se ne rendono conto quando dicono che non sono ancora pronti. Che un qualche primate antenato dell'uomo fosse frugivoro puro, potrebbe anche essere vero ma non vi sono prove certe in tal senso  e potremmo anche essere discendenti da primati onnivori considerato che la maggior parte dei primati conosciuti sono onnivori. Comunque sia la nostra discendenza dai primati riguarda un periodo lontano 5-6 milioni di anni mentre è certo che in tutto il paleolitico gli ominidi antenati dell'uomo fossero onnivori. I primati che più assomigliano all'uomo geneticamente sono gli scimpanzè i gorilla e gli orangotango. Gorilla e orangotango  mangiano deliberatamente gli insetti (non solo quelli dentro la frutta) mentre gli scimpanzè sono addirittura cacciatori (che sia perchè tra le tre specie sono i più intelligenti?).
In ogni caso i primati definiti frugivori di solito sono prevalentemente frugivori ma compendiano la loro dieta con foglie, fiori, nettare ed insetti ed eventualmente anche con piccoli animali in scarsezza di frutta. Ma anche se esistesse un primate che in natura mangia solo frutta (esiste davvero?), questo mangerebbe automaticamente anche animali e più precisamente  gli insetti ed i vermi che infestano la frutta non trattata che cresce spontanea. In definitiva ritengo del tutto infondate le giustificazioni a favore di una dieta frugivora per l'uomo basate su una nostra possibile discendenza da primati frugivori.

Sui vegani. Molti vegani lo sono per scelta filosofica ovvero per una questione di coscienza: non vogliono ne mangiare ne sfruttare gli animali e questa è una scelta personale ed indiscutibile. Altri vegani invece sostengono che l'uomo sia vegetariano per natura e non onnivoro. Sostengono che  non siamo adatti al consumo di alimenti di origine animale utilizzando spesso argomenti di pura farneticazione. Mi vengono in mente posizioni del tipo "non abbiamo i canini sviluppati come i carnivori" e "abbiamo lo stomaco troppo lungo rispetto ai carnivori". A prima vista sono due affermazioni ragionevoli, ma subito dopo uno si chiede perchè il confronto lo facciano con i carnivori e non con gli onnivori (quali noi siamo, fino a prova contraria). La risposta è semplice: perchè la maggior parte dei mammiferi onnivori hanno le nostre stesse caratteristiche in termini di canini e stomaco e pertanto l'argomentazione perderebbe validità. Inoltre gli stessi animali erbivori, penso ad esempio alle vacche, in natura assumono una discreta quantità di alimenti animali sotto forma di insetti (concentrati di grassi e proteine). Una vacca quando pascola libera e felice in alpeggio, mangia ogni giorno non meno di 50 kg di erba strappandola direttamente da terra assieme a formiche, coccinelle, ragnetti, bruchi e similari. Non ho idea di quanti insetti possa mangiare, ma sicuramente migliaia ogni giorno. In ogni caso la vacca ha un secondo stomaco in cui avviene la fermentazione dei carboidrati che ingerisce da parte di una flora batterica che produce vitamina B12 e che viene poi assimilata, cosa che noi umani non possediamo (il secondo stomaco). Certo anche negli umani  la fermentazione batterica produce B12, ma troppo tardi e va tutta nella cacca! (tanto è vero che qualche vegano estremista propone di mangiare la propria cacca, visto che lo fanno anche alcuni animali).
A mio avviso due cose sono ovvie: 1) non siamo carnivori puri e  2)  non siamo vegetariani puri e pertanto siamo onnivori e da sempre (nella veste di homo sapiens, ma anche  in quella di eventuali predecessori del paleolitico).
Un giorno, mangiando la pizza con una mia amica vegana che sosteneva che gli esseri umani non sono attrezzati per mangiare la carne, ho ordinato una bistecca e gli ho fatto vedere come un essere umano poteva mangiare la carne: cuocendola prima ed usando il coltello per tagliarla poi. Alla sua obiezione che cuocere e tagliare non sono azioni naturali gli ho risposto che il fuoco e l'uso degli attrezzi, ovvero in definitiva l'intelligenza, è proprio ciò che distingue gli esseri umani dagli altri animali, almeno da 1 milione d'anni.
Sia ben chiaro, ritengo che non ci sia nulla di sbagliato dal punto di vista alimentare ad essere vegani, solo che la ritengo una scelta innaturale e troppo complicata. Essere vegani e contemporaneamente alimentarsi in modo corretto richiede molta attenzione, troppa, roba da pensionati o comunque da nullafacenti. E' anche innaturale perchè la vitamina B12 deve essere assunta mediante integratori e comunque solo in una società moderna in cui le merci possono essere fatte venire da tutto il mondo, è possibile avere a disposizione tutto l'anno la varietà di vegetali necessaria a coprire in modo ottimale tutti fabbisogni di un vegano. Se l'uomo fosse stato vegano, non avrebbe popolato l'intero pianeta.

Sui vegetariani o meglio sui latte-ovo-vegetariani non ho nulla da dire in quanto sono onnivori che pur non mangiando carne e pesce per questioni di coscienza, mangiano prodotti di origine animale che dal punto di vista dietetico sono del tutto equivalenti alla carne, solo un pò più grassi. Come amano dire loro, scienza e coscienza in contrasto alla scienza e basta degli onnivori e alla coscienza e basta dei vegani.

Scienza e dieta

Il consenso scientifico sulla dieta ideale per l'uomo non è unanime e del resto se lo fosse l'argomento sarebbe scientificamente chiuso. In generale non è una buona idea  affidarsi a singoli articoli scientifici in quanto esprimono i risultati di uno singolo studio e le posizioni personali degli autori che devono essere ancora  soggette a verifica da parte della comunità scientifica. Conviene piuttosto affidarsi alle posizioni di largo consenso nella comunità scientifica che prevalgono in tutte le prescrizioni dietetiche degli organismi nazionali ed internazionali che si occupano di salute pubblica tra le quali segnalo  le seguenti

  1. Linee guida dietetiche americane 2010 a cura del dipartimento USA del'agricoltura (USDA).
  2. Consigli dietetici della scuola di salute pubblica di Harvard.
  3. Dieta, nutrizione e prevenzione dei disturbi cronici, 2002, OMS/FAO (Organizzazione mondiale della sanità)
  4. Parte dedicata alla nutrizione del sito dell' Autorità europea per la sicurezza alimentare. In particolare si veda  Valori di riferimento per l'apporto di nutrienti, 2010 e Valori dietetici di riferimento e linee guida dietetiche
  5. Linee guida per una sana alimentazione italiana, 2003, Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione
Tra queste, come al solito, quelle fatte meglio a scopo divulgativo sono le linee guida americane. Anche quelle italiane non sono male ma troppo sintetiche. Il database del contenuto degli alimenti più completo che ho trovato è il National Nutrient Database for Standard Reference a cura dell'USDA che consente di fare ricerche sui contenuto degli alimenti anche per macrogruppi (carni, ortaggi, cereali, vegetali, ...), per singoli nutrienti e quant'altro.

Una prescrizione dietetica è costituita da una miriade di  parametri e qui non voglio certamente  entrare nei dettagli riservati agli specialisti e pertanto mi limiterò ad analizzare alcuni parametri fondamentali.

1) Energia totale giornaliera. E' la somma dei valori energetici introdotti con l'alimentazione, si misura in kcal (chilocalorie, 1kcal=1000 calorie) altrimenti dette grandi calorie (Cal, si noti la C maiuscola). Per mantenere costante il peso, un individuo dovrebbe ingerire tante kcal quante ne consuma in un giorno. Qui non serve uno scienziato per capire se ingeriamo il numero giusto di calorie, basta la bilancia e lo specchio. Se fosse necessario, per stabilire oggettivamente se il nostro peso è quello salutare, si può sempre usare l'IMC (BMI in inglese). L'energia di cui abbiamo bisogno per mantenere costante il peso è uguale all'energia che consumiamo a riposo più l'energia che spendiamo per le varie attività. Un sedentario totale consuma poco di più di quanto consumerebbe se dormisse 24 ore al giorno, uno sportivo agonista al top può arrivare a consumare anche 3-4 volte l'energia necessaria a riposo. Questo per dire che ci sono persone che necessitano di poca energia (1500 kcal una donna sedentaria di piccola taglia ) e altre che consumano moltissimo (Phelps arriva a consumare 11000 kcal al giorno) e pertanto non ci sono regole generali se non quella di valutare quanto siamo grassi ed aumentare o diminuire di conseguenza l'introito energetico, almeno a parità di attività fisica. E' utile osservare che il consumo a riposo è tanto maggiore quanto maggiore è la massa muscolare di un individuo: 1 kg di muscolo necessita per sopravvivere di una quantità di energia 10 volte superiore a quella necessaria per 1 kg di adipe.

2) Distribuzione energetica dei macronutrienti. I macronutrienti, ovvero quelle sostanze contenute nei cibi che apportano l'energia sono i carboidrati, i grassi e le proteine. I carboidrati che apportano 4 kcal di energia per grammo,  si dividono in semplici (zuccheri) e complessi (ad es. l'amido della pasta o del riso) e sono i contenuti principali dei cereali, delle patate, dei legumi, della frutta, quindi di alimenti di origine vegetale, ma sono  presenti in quantità modeste anche nel latte e derivati (lattosio). I grassi che apportano 9 kcal per grammo,  si dividono grossolanamente in saturi ed insaturi e sono contenuti praticamente ovunque, pochi nella frutta e nella maggior parte dei vegetali ( con notevoli eccezioni quali ad esempio le olive ed alcuni  semi con cui si produce l'olio) ed in quantità molto variabile negli alimenti di origine animale. I grassi di origine animale sono tendenzialmente più ricchi di parte satura rispetto a quelli vegetali. Anche le proteine che apportano circa 4 kcal per grammo sono contenute praticamente in tutti gli alimenti, pochissime nella frutta, molte in carne, pesce, legumi, latte ed in molti cereali.

La quantità di carboidrati, grassi e proteine che dobbiamo mangiare ogni giorno è uno dei parametri più importanti di ogni dieta e viene generalmente misurata come percentuale dell'apporto calorico giornaliero. Consideriamo ad esempio una dieta da 2000 kcal/giorno con una distribuzione 60-15-25 ovvero 60% delle calorie dai carboidrati, 15% dalle proteine e 25% dai grassi ovvero 1200 kcal (60/100 x 2000) sotto forma di carboidrati, 300 kcal (15/100 x 2000) in proteine e 500 kcal in grassi. Siccome il valore energetico di carboidrati, proteine e grassi è di rispettivamente 4, 4  e 9 kcal/grammo, dovremo mangiare 300 grammi (1200/4) di carboidrati, 75 grammi  (300/4) di proteine ed infine 55.5 grammi (500/9) di grasso.

Ebbene, quali sono le percentuali raccomandate di carboidrati, proteine e grassi in una dieta sana ed equilibrata? La risposta è che non ci sono dei singoli valori ma degli intervalli e limiti piuttosto ampi. Limitandoci a considerare le raccomandazioni per la popolazione adulta dell'USDA americano  (Dietary guidelines for americans, 2010, pag. 15) , quelle dell'OMS (Tavola 6, pag 56), quelle dell EFSA europeo (qui la pagina web in italiano), e quelle italiane dell'INRAN (pagg. 18, 24) abbiamo la seguente situazione

Fonte Carboidrati Proteine Grassi
USDA 45–65% 10–35% 20–35%
OMS 55-75% 10-15% 15-30 %
EFSA 45-60% 10-20%     * 20-35%
INRAN ~ 60% N.A. 20-25% per p. sedentarie
20-35% per p. attive

* nel documento EFSA la dose di riferimento per le proteine è espressa in grammi di proteine per kg di peso corporeo (massa magra) al giorno e non come percentuale delle calorie. Nel documento si stabilisce in 0.66 g/kg al giorno il valore minimo medio ed in 0.83 g/kg  il valore cautelativo di riferimento e si afferma che si ritiene priva di rischi anche una dose doppia ovvero di 1.66 g/kg. Per un maschio di 75 kg con una dieta di  2500 kcal/giorno (un sedentario), ciò significa un'assunzione di proteine compresa nei  limiti 0.83*75*4/2500 * 100  e 1.66*75*4/2500 * 100 ovvero nei limiti 10-20%.

Nella sostanza possiamo concludere che una dieta 60-15-25 o giù di lì soddisfa tutte e 4 le raccomandazioni  e soddisfa pure le posizioni espresse in una posizione congiunta dell'American College of Sport Medicine (ACSM) e dall'Associazione Dietetica Americana (ADA), si veda l'articolo in cui è asserito esplicitamente che la dieta di uno sportivo, anche professionista, non differisce in termini di percentuali di macronutrienti, da quella ideale per la popolazione generale. Naturalmente, in termini assoluti, il consumo energetico di uno sportivo è molto più elevato e di conseguenza anche le quantità di macronutrienti ingeriti. Tra l'altro la posizione ACSM-ADA raccomanda che la quantità di proteine per gli sport di endurance  sia compresa in ogni caso tra 1.2 e 1.4 g/kg di massa corporea mentre negli sport di forza fissa dei limiti poco superiori e pari a 1.2-1.7 g/kg e pertanto ben inferiori ai valori usuali tra i palestrati. La stessa posizione sancisce anche che non vi è alcuna evidenza che un consumo superiore alle dosi massime prescritte di proteine porti ad un qualche beneficio in termini di massa muscolare. Voglio precisare che la posizione assunta dall'ACSM-ADA è il risultato di decenni di dibattito e migliaia di articoli scientifici e dobbiamo considerarla lo stato dell'arte nel campo della dietetica sportiva e generale.

Grassi

Appurato che secondo le raccomandazioni citate il giusto apporto di grassi è intorno al 25% della dieta in termini calorici, bisogna dire che non tutti i grassi sono uguali. Consumare 100 gr di strutto non è equivalente a consumare 100 gr di olio di oliva. Infatti, nonostante  l'apporto energetico sia quasi identico, 100 grammi di strutto contengono 42.5 gr di grassi saturi, 43 grammi di grassi monoinsaturi e 11.7 grammi di grassi polinsaturi (fonte), mentre 100 grammi di olio d'oliva contengono (fonte) 13.8 grammi di saturi, 73 grammi di monoinsaturi ed 10.5 grammi di polinsaturi. Si da il caso che i grassi saturi siano quelli che aumentano il colesterolo ed in particolare quello cattivo (LDL) e che sono  ritenuti, quando assunti in eccesso, corresponsabili delle malattie cardio vascolari. In linea di massima quindi i grassi di origine vegetale sono da preferirsi a quelli di origine animale, con qualche notevole eccezione. Infatti i grassi vegetali idrogenati (addensati come nelle vecchie margarine) ma anche l'acido palmitico (uno dei grassi più comuni nel regno vegetale)   sono accusati di favorire lo sviluppo di patologie cardiovascolari, vedi WHO. Gli oli vegetali di cocco e di cuore di palma sono in assoluto i peggiori grassi e contengono molti più grassi saturi del lardo. Purtroppo la maggior parte dei dolciumi che si trovano sugli scaffali dei supermercati sono fatti con olio di palma, compresi quelli che riportano la generica dicitura  "contiene solo grassi vegetali". L'olio di palma costa pochissimo, ha una consistenza solida a temperatura ambiente ed è neutro nel sapore, per cui ha sostituito le margarine nell'industria dolciaria.  Un'altra eccezione, ma stavolta positiva, sono i grassi polinsaturi contenuti in molti  pesci  ed in particolare gli acidi grassi  EPA e DHA che sono degli omega-3 ed ai quali sono attribuite virtù salutari.
In linea di massima potremmo anche non consumare grassi saturi in quanto l'organismo è in grado di produrli secondo le necessità a partire dagli insaturi. Il problema è che non è possibile evitare i saturi in quanto ogni grasso naturale ne contiene una percentuale compreso  il tanto decantato olio di oliva (certo, con processi chimico-industriali  si potrebbe eliminare la parte satura). Pertanto le raccomandazioni dietetiche degli organismi scientifici preposti suggeriscono solo dei limiti massimi per la quantità dei grassi saturi assunti (sempre in termini energetici), si veda la tabella seguente.

Fonte grassi saturi max
USDA <10%
< 7% per ridurre ulteriormente il rischio cardiovascolare
OMS <10%
EFSA minore possibile
INRAN < 7-10%

I grassi polinsaturi (omega-3 ed omega-6) invece devono essere assunti, ed in particolare le raccomandazioni WHO fissano gli omega-3 nella quantità minime  dell'1-2 % (sempre in termini energetici) e gli omega-6 nell'intervallo 5-8%. Altre raccomandazioni consigliano un rapporto tra omega-6 ed omega-3 di 5:1. Gli omega-6 sono contenuti in tutti i grassi più comuni, mentre gli omega-3 sono piuttosto rari e nella dieta occidentale si tende ad assumerne troppo pochi con rapporti omega-6/ omega-3 troppo alti. Per assumerne nelle giuste quantità bisognerebbe mangiare un paio di piatti di pesce grasso alla settimana o alimenti equivalenti (come nella dieta mediterranea). Per i grassi monoinsaturi non c'è problema di deficienza, in special modo per noi italiani in quanto l'olio di oliva ne è ricchissimo.  Da evirare in assoluto (< 1%) invece  i grassi idrogenati.
In virtù del fatto che il consumo di grassi saturi deve essere il più basso possibile, si potrebbe essere indotti erroneamente, ad eliminare i prodotti di origine animale. Ad esempio 200 grammi di petto di pollo (senza pelle) alla piastra, contengono circa (fonte) 26 gr di grassi di cui 7.2 gr di saturi. In termini calorici i saturi corrispondono a 7.2*9=64.8 kcal che su una dieta da 2500 kcal corrispondono al 2.6%, quantità ben inferiore alla limite più stringente del 7%.  Il contenuto di saturi è all'incirca lo stesso di quello di 50 gr di olio di oliva, ovvero la quantità tipica di olio giornaliero consumato nella dieta mediterranea. Non si dimentichi inoltre che 200 gr di pollo apportano circa 56 gr di proteine ad alto valore biologico. Inoltre, mentre il pollo lo mangiamo una volta ogni tanto, l'olio di oliva lo mangiamo, in una forma o nell'altra, tutti i giorni.

I limiti correnti sul consumo dei grassi sono dettati da una miriade di studi che associano l'eccesso di grassi saturi, alle malattie cardiovascolari e siccome tutti i grassi in natura sono misti (saturi e insaturi), per limitare il consumo di saturi è necessario limitare il consumo di grassi in generale.

Carboidrati

I carboidrati sono la nostra fonte principale di energia e secondo le prescrizioni citate dovrebbero rappresentare suppergiù il 60% delle calorie ingerite, ma non tutti i carboidrati sono uguali. Sebbene 50 grammi di zucchero abbiano gli stessi carboidrati di 100 grammi di lenticchie (secche), è altamente preferibile mangiare 100 grammi di lenticchie. Infatti, anche grazie al fatto che nelle lenticchie c'è molta fibra, molte proteine e traccie  di grasso,  l' assorbimento dei carboidrati delle lenticchie è molto più lento di quello dello zucchero. Mangiando 50 grammi di zucchero in brevissimo tempo la glicemia (glucosio nel sangue) schizza in alto provocando il rilascio massiccio dell'insulina ed in breve si và in ipoglicemia. Mangiando 100 grammi di lenticchie la glicemia aumenta di meno e più lentamente e di conseguenza il rilascio d'insulina è più graduale. La regola generale è quella di preferire i carboidrati complessi (cereali integrali, legumi,...)  a quelli semplici (zuccheri, farine raffinate, patate,...) o, per la precisone, è preferibile mangiare carboidrati con indice glicemico più basso, si veda la voce di wikipedia ed in particolare la ricca bibliografia riportata.

Proteine

Le proteine sono composte da 20 varietà diverse di amminoacidi, 8 dei quali sono essenziali ovvero non sintetizzabili dal corpo umano e da qui la necessità di assumerle con la dieta. A differenza dei carboidrati ed in parte dei grassi, le proteine hanno anche e soprattutto funzioni costruttive ovvero servono a costruire e rigenerare i tessuti del corpo umano (muscoli, pelle, capelli, unghie, ...) e gli ormoni. Certamente sono utilizzabili anche a fini energetici fornendo 4 kcal/gr, ma il corpo ne fa quest'uso principalmente in carenza degli altri due macro alimenti. Usare le proteine dei tessuti , in particolare quelli muscolari, a fine energetico è paragonabile a bruciare il tetto in legno di una casa per riscaldarsi ed è esattamente ciò che succede  nei regimi dietetici eccessivamente ipocalorici. Come già evidenziato, un apporto di circa 0.66 grammi di proteine per ogni kg di massa magra è indispensabile per mantenere intatti i propri tessuti, in particolare quello  muscolare ed  in caso di attività fisica intensa il fabbisogno può anche raddoppiare. Tutte le proteine in eccesso rispetto alla dose necessaria vengono usate a fini energetici ma qui c'è un inghippo. Infatti a differenza dei carboidrati e dei grassi, le proteine contengono anche l'azoto (16%) che non può essere metabolizzato (bruciato per fornire energia). Pertanto, quando le proteine vengono bruciate a fini energetici danno come prodotto di scarto l'azoto sotto forma di urea nel sangue che viene espulsa grazie ai reni principalmente attraverso le  urine: più urea viene prodotta e più i reni devono lavorare. Le prescrizione massime sulla quantità di proteine da assumere sono basate sull'idea di non sovraccaricare inutilmente le funzioni renali e su questo sono d'accordo tutti mentre non c'è accordo unanime su quale sia la dose massima salutare che va dal 15% in termini calorici delle raccomandazioni OMS al 35% delle raccomandazioni USDA. Mentre sulle quantità minime di proteine c'è accordo totale (0.66 g/kg), sulla quantità massima è in corso, da almeno un decennio, un dibattito ed è argomento caldo nella letteratura scientifica. Per una discussione interessante sull'argomento raccomando la lettura del report  Protein and amino acid requirements in human nutrition, dell'OMS ed in particolare il capitolo 13, facendo riferimento alla ricchissima bibliografia per tutti gli approfondimenti, aggiornati al 2007. Nella sostanza, nel documento citato si asserisce che allo stato attuale (2007) delle conoscenze  non è possibile fissare razionalmente un limite superiore al consumo di proteine, perlomeno per la popolazione generale. L'unico dato certo è che una quantità di proteine intorno al 45% delle calorie giornaliere è tossico e produce il morbo del caribù, ma quale sia il limite superiore ragionevolmente salutare non si sà. Si sà che per individui con la funzionalità renale compromessa, dosi di proteine superiori al 25 % sono nocive. Si sà anche che un consumo elevato di proteine (> 20%) produce un aumento di  escrezione di calcio tramite le urine il che ha indotto alcuni ricercatori a studiare la relazione tra proteine ed osteoporosi (infatti il calcio escreto è quello richiato dalle ossa per tamponare l'aumento di acidità del sangue prodotto dall'ossidazione delle proteine), ma senza arrivare a conclusioni definitive. Tra l'altro c'è chi ha osservato che se troppe proteine producessero osteoporosi, allora i palestrati iper-proteinizzati dovrebbero soffrirne ed invece diversi studi hanno rilevato che i palestrati hanno ossa più robuste della popolazione media (probabilmente perchè l'attività fisica favorisce l'irrobustimento delle ossa).


La mia opinione è che,

1) considerato il sostanziale accordo sulle dosi di proteine minime di 0.8 g/kg necessarie a fini costruttivi e di mantemimento
2) che un consumo di proteine in eccesso a 1.6 g/kg non ha alcun effetto sull'aumento della massa muscolare e che la stessa dose è considerata sicura dal punto di vista della salute,
3) che tutte le proteine in eccesso rispetto alla dose costruttiva vengono metabolizzate e pertanto producono un sovraccarico dei reni

fino a che nuove evidenze scientifiche non provino il contrario, conviene attenersi al limite superiore di 1.6 g/kg che si traduce in funzione del consumo calorico giornaliero in una quantità pari al 15-20%, salvo situazioni particolari. 

Infatti se consideriamo il caso estremo del nuotatore Phelps che arriva a consumare anche 11000 kcal al giorno, se facessimo i conti assumendo un consumo del 20% in proteine, verrebbe fuori che Phelps dovrebbe ingerire 2200 kcal in proteine ovvero 550 gr di proteine al giorno ovvero, pesando Phelps 88 kg,  6.25 gr/kg di proteine al giorno, una dose assurdamente eccessiva.
A favore di un consumo moderato di proteine gioca anche il fatto che in natura i cibi molto ricchi di proteine sono spesso anche ricchi di grasso, frequentemente saturo. Ovviamente si può fare come fanno tanti palestrati: mangiano solo il bianco dell'uovo buttando via il rosso, ma che spreco! Oppure comprare le proteine pure in polvere ma sà troppo di sintetico.


La qualità delle proteine si misura  con il loro valore biologico o meglio, più recentemente, con un indice chiamato PDCAAS  utilizzato  dall'FDA (Food and Drugs Administration) e dalla FAO/OMS. L'indice che va da 0 ad 1, misura la distribuzione in una data proteina degli  8 amminoacidi essenziali rispetto alla proteina di riferimento (ritenuta perfetta per l'uomo e con indice 1.0 ), corretto per tener conto anche della digeribilità. Le varie proteine hanno contenuti diversi di amminoacidi essenziali ed il corpo umano è in grado di assorbirle per fini costruttivi solo se rispettano determinate proporzioni e l'indice PDCAAS classifica le proteine secondo  tali proporzioni. In realtà non è strettamente necessario assumere solo proteine con indice il più alto possibile in quanto la combinazione di proteine diverse con indici bassi ma distribuzione di amminoacidi diversi, se assunte contemporaneamente o comunque nell'arco di una stessa giornata compensano a vicenda le rispettive carenze. Ad esempio la pasta ed i fagioli sono entrambi ricchi di proteine con indice biologico basso ma gli amminoacidi carenti nella proteina della pasta sono abbondanti nei fagioli e viceversa e pertanto, se mangiate assieme, forniscono la giusta proporzione di amminoacidi e valgono quasi quanto il bianco dell'uovo. Tendenzialmente le proteine di origine vegetale hanno valore biologico più basso di quelle animali ( questo perchè i tessuti animali sono molto più simili ai nostri rispetto ai vegetali) con alcune eccezioni, come le proteine  della soia che hanno valore biologico molto alto. In ogni caso, anche con una dieta vegana, a patto che sia sufficientemente variegata all'interno della stessa giornata e che l'apporto proteico totale sia del 15-20%, non vi è alcun rischio di carenze di amminoacidi.

Per concludere con le proteine un'ultima osservazione. Le proteine hanno un grande potere saziante e se consumate in eccesso danno nausea e per questo motivo ci sono alcune diete dimagranti che prescrivono alti consumi di proteine e bassi consumi di carboidrati. Probabilmente una persona con i reni a posto, che segua per brevi periodi una dieta ipocalorica e nel contempo iperproteica  non rischia molto e forse dimagrisce senza perdere tessuto muscolare, ma questo non è un buon motivo per farne un regime dietetico a vita.

3) Micronutrienti

I micronutrienti sono così chiamati perché il corpo ne ha bisogno solo in piccole quantità, e pur non fornendo energia, giocano un ruolo essenziale nella produzione di enzimi, ormoni e altre sostanze che aiutano a regolare la crescita, l'attività, lo sviluppo e il funzionamento dei sistemi immunitario e riproduttivo. Sono costituiti soprattutto, ma non solo, da   vitamine (A, B, C, D, E, K),  minerali (calcio fosforo, potassio, ...)  e oligoelementi (ferro, zinco, selenio,  manganese,...).  Nonostante siano necessari in piccole quantitàla loro carenza produce danni gravissimi al sistema immunitario  e morte. Possiamo anche sottoalimentarci di macronutrienti perchè almeno entro certi limiti il fisico si adegua (perde massa muscolare e pertanto consuma di meno), ma non possiamo privarci dei micronutrienti altrimenti andiamo incontro a malatta sicura. Essendo necessarie in piccole dosi, in una società progredita non ci dovrebbe essere alcun rischio di carenze vitaminiche a meno di abitudini alimentari  deviate   caratterizzate da  pochissima  varietà di alimenti e  mancanza totale di frutta e verdure. Tanto per fare un esempio, 10 mg di vitamina C al giorno sono sufficienti ad evitare lo scorbuto mentre 60 mg al giorno è la razione giornaliera consigliata (RDA). Orbene in 100 gr di broccoli (davvero pochi)  ci sono 90 mg di vitamina C (meno dopo la cottura), in 100 gr di arancia (una arancia navel piccola piccola) o in 200 gr di pomodori verdi ce ne sono 80 mg, in 100 gr di ribes addirittura 180 mg (la dose di 3 giorni). Nella sostanza mangiando un paio di frutti al giorno o un piatto di verdure o ortaggi particolari si ingerisce una quantità di vitamina C più che sufficiente e solo con una dieta priva di frutta e verdura si può rischiare una qualche deficienza. Dico solo rischiare perchè in realtà la vitamina C la si ritrova in moltissimi altri alimenti in forma naturale (ad esempio nei comuni pomodori rossi)   o aggiunta (ad esempio nei drink alla frutta).
Tra l'altro la vitamina C è quella di cui abbiamo bisogno in quantità maggiore, ma ci sono altre vitamine che sono necessarie in dosi veramente piccole. Per capirci, la razione giornaliera consigliata di vitamina D è di soli 5 microgrammi (5 milionesimi di grammo) , che si trovano ad esempio in 100 gr di tonno o di uova, o in in 50 gr di salmone o sgombro sott'olio (o in 2 gr di olio di fegato di merluzzo !) e, per i vegani, in 100 gr di funghi gialletti. La RDA di vitamina B12 (croce e delizia dei vegani) è circa 2.5 microgrammi, vedi il link,  e si trova esclusivamente nei prodotti di origine animale. In 2 tuorli d'uovo, o in 100 gr di mozzarella, o in soli 30 gr di pollo, c'è la B12 necessaria per 1 giorno. 
Leggetevi questo breve intervento per delle utili indicazioni sui micronutrienti utili a prevenire il cancro.

4) Fibre (to do ...)



3) Aspetti particolari

Calcio ed osteoporosi. Per anni si è pensato che per ridurre il rischio di osteoporosi nelle donne dopo la menopausa fosse utile assumere supplementi di calcio e vitamina D. Recentemente questo mito è stato sfatato da studi clinici fatti su un grande numero di  individui, si veda in particolare questo articolo. In pratica si è dimostrato che nelle donne che già seguivano una dieta bilanciata con il giusto apporto di  calcio e vitamina  D la supplementazione ha effetti modestissimi e scarsamente significativi. In altri termini, se è vero che la carenza di calcio e vitamina D può aumentare il rischio di osteoporosi, non è vero che si riducono significativamente i rischi aumentandone  l'assunzione rispetto alle dosi raccomandate. Pare invece  che l'esercizio fisico, in particolare quello di resistenza, aumenti significativamente la robustezza delle ossa, si legga qui per approfondire, e  qui, per una serie di esercizi mirati.

Latte e derivati. (to do...)



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